Resta ancora più imbarazzante, a questo punto, il mutismo della Corte costituzionale. Dove il busto del presidente del Tribunale della razza campeggia ancora del corridoio nobile. Protetto da un silente cameratismo castale
La storia ha dato ragione a lei, Luciana Pacifici, vittima della Shoah. Sarà dedicata a lei, a Napoli, la via in precedenza di Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della razza.
A lla fine la storia ha dato ragione a lei, la piccola Luciana. Il prossimo 17 novembre, dopo una battaglia durata anni e sposata dal sindaco Luigi de Magistris, la targa pomposamente dedicata nel 1970 a Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza fascista riciclato incredibilmente dalla lavanderia togliattiana al punto di entrare anni dopo nella Corte costituzionale per diventarne addirittura il presidente, sarà buttata giù a martellate, raccolta in un secchio di plastica grigia, scaricata tra i calcinacci da qualche parte.
E lì, nel cuore di Napoli, vicino all’Università Federico II, la strada verrà dotata finalmente di una nuova insegna: via Luciana Pacifici. Che la scheda della banca dati «I nomi della Shoah italiana» del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, corredata da una foto della bimba con un vestitino bianco a fiori, descrive così: «Luciana Pacifici, figlia di Loris Pacifici e Elda Procaccia, nata in Italia a Napoli il 28 maggio 1943. Arrestata a Cerasomma (Lucca). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah».
Furono 558 i bambini sotto i dieci anni rastrellati nell’autunno 1943. Non uno, eccetto le gemelline Andra e Tatiana Bucci salvate solo dalla buona sorte, tornò vivo. Non uno. Esistono, su quella nuova retata di Erode, testimonianze terribili. Come quella raccolta nel libro Roma Clandestina da Fulvia Ripa di Meana, che aveva visto inorridita un camion carico di bambini in piazza di San Lorenzo in Lucina: «Ho letto nei loro occhi dilatati dal terrore, nei loro visetti pallidi di pena, nelle loro manine che si aggrappavano spasmodiche alla fiancata del camion, la paura folle che li invadeva, il terrore di quello che avevano visto e udito, l’ansia atroce dei loro cuoricini per quello che ancora li attendeva. Non piangevano neanche più quei bambini, lo spavento li aveva resi muti…».
Hanno scelto lei, Luciana, perché era nata lì, a poche decine di metri dall’attuale via Azzariti condannata alla rimozione. Aveva pochi mesi, quella bambina, quando fu arrestata, cinque giorni dopo l’infame circolare del 30 novembre 1943 firmata dal ministro dell’Interno repubblichino, Guido Buffarini Guidi. Dispaccio che dimostra le pesantissime responsabilità fasciste: «Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento… Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche…»
Caricata sul treno piombato diretto in Polonia, Luciana morì di stenti, pare, nel viaggio verso Auschwitz. Dove furono decimati il papà Loris e la mamma Elda, che avevano trentaquattro e venticinque anni, il nonno e la nonna materni Amedeo e Jole, il fratello della mamma Aldo… In quei giorni Azzariti si era già riciclato.
Dopo esser stato il burocrate di fiducia di Mussolini al ministero della Giustizia al punto di essere premiato con la presidenza del cosiddetto Tribunale della razza (delegato a distinguere tra quelli che potevano essere sommersi e quelli che dovevano essere salvati spesso perché pagavano somme enormi e perciò definito da Renzo de Felice come l’espressione «immorale e antigiuridica» di un potere fondato «sull’arbitrio più assoluto…») il magistrato era riuscito infatti a saltare sul carro del governo Badoglio. Per poi offrirsi come braccio destro a Palmiro Togliatti. Grazie al quale riuscì a smacchiarsi fino a ripresentarsi bel bello, ossequiato e riverito, tra gli alti magistrati d’Italia del Dopoguerra.
Il primo granello che ha fatto venire giù la slavina lo fece rotolare un paio di anni fa il giornalista e storico della Shoah Nico Pirozzi, con un articolo sul Mattino dove denunciava il suo scandalizzato stupore per la scoperta di quella targa stradale.
Resta ancora più imbarazzante, a questo punto, il mutismo della Corte costituzionale. Dove il busto del presidente del Tribunale della razza campeggia ancora del corridoio nobile. Protetto da un silente cameratismo castale di giorno in giorno più insopportabile…
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