Ieri le esequie. Funerali di stato a piazza Montecitorio, poi l’abbraccio dei compagni a Lenola. La figlia Celeste: «Ognuno ha il suo Pietro da piangere» Il ricordo di don Ciotti e di Scola
L’abbraccio del popolo Pietro Ingrao lo ha avuto a Lenola, quando nel pomeriggio di ieri i suoi concittadini si sono accalcati attorno al feretro. Era davvero l’ultimo saluto, dopo due giorni di camera ardente e il funerale di stato in piazza Montecitorio. Ingrao è stato sepolto nel cimitero del paese ciociaro nel quale era nato cento anni fa, dopo l’omaggio di quella piazza Cavour che lo aveva visto tenere per la prima volta un comizio durante la campagna elettorale del 1948. Hanno parlato Nichi Vendola, il sindaco, il vicepresidente della regione Smeriglio, un caro amico di Ingrao. Le stesse bandiere rosse e i pugni chiusi del mattino, a Roma, con il calore dell’affetto per il vecchio compagno che riesce a farsi sentire di più.
Al funerale di stato prevale inevitabilmente il ricordo dell’uomo delle istituzioni. La sfilata delle autorità, i carabinieri che tengono un po’ distante una folla che non è strabordante, almeno per chi ricorda i funerali nella stessa piazza di Giancarlo Pajetta e poi Nilde Iotti. Per quanto Ingrao sia stato amatissimo dal popolo comunista, venticinque o sedici anni non sono passati senza scavare un solco a sinistra. È stato così, quello in piazza Montecitorio, soprattutto un funerale di discorsi, molto belli, movimentato dall’incontenibile amore della vasta famiglia del vecchio Pietro. «Nonostante la fama minoritaria che ci circonda — ha detto Celeste, la figlia maggiore — noi Ingrao abbiamo dalla nostra la forza dei numeri». Dietro di lei mezzo palco è occupato da figli, nipoti, pronipoti, parenti e amici stretti.
Nell’altra metà del palco ci sono le autorità, tutte. Presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, presidente del Senato e presidente del Consiglio, appena arrivato da New York: i due sono sistemati accanto e hanno molto da dirsi sul percorso in aula della riforma costituzionale, che seppellito Ingrao raggiungerà nuove bassezze.
Molto governo, tanto gruppo dirigente Pd tra il palco e la prima fila della piazza. Napolitano ospite d’onore con la signora Clio divide i potenti di oggi dagli ex presidenti della camera, Violante, Casini e Bertinotti, piazzato un po’ sul margine dal cerimoniale ma l’unico a cantare apertamente «Bella ciao» (rivisti al video anche Grasso e la ministra Boschi muovono le labbra).
La presidente della camera Boldrini fa il primo discorso, Alfredo Reichlin probabilmente quello più applaudito assieme a quello commovente della nipote Gemma: «Ciao dolce nonnino, ci hai insegnato prima di tutto a coltivare i nostri sogni». Renata, la figlia minore di Pietro, ricorda «le gare di nuoto, le partite a carte a Lenola. Ci hai trasmesso l’amore per la vita e l’aspirazione alla libertà».
Parla Maria Luisa Boccia, filosofa politica ma anche nipote di Pietro: «Ingrao è stato un comunista. Non consegneremo la sua figura alla celebrazione, terremo vivo il suo pensiero coniugandolo al presente». Nella piazza vecchie bandiere del Pci, simboli di Rifondazione e del Partito dei comunisti italiani, bandiere della Palestina e di Syriza, bandiere della pace.
Il discorso di Luigi Ciotti è soprattutto una testimonianza dell’ultimo impegno politico di Ingrao, fuori dal gorgo di un partito che non c’era più. «Ci siamo incontrati il 3 aprile 1999 sul palco della manifestazione contro i bombardamenti Nato su Belgrado». Ingrao aveva 84 anni e tante cose ancora da dire.
Ettore Scola invece lo ricorda nel dopoguerra negli anni della prima passione per il cinema «con Pietrangeli, Puccini, De Santis , Lizzani». Poi all’inizio degli anni Settanta quando il regista girava Trevico-Torino, «il film che mi è più caro perché mi ha regalato l’amicizia di Pietro». Poi ancora a un comizio ad Avellino per le europee del ’79 «la folla lo ascoltava e piangeva».
Piangevano anche ieri, mentre Celeste Ingrao spiegava perché suo padre era tanto amato: «Ognuno ha il suo Pietro da ricordare e piangere». E con Scola lì sul palco viene in mente la domanda del muratore romano di «Dramma della Gelosia» che entra nella piazza San Giovanni per assistere a un grande comizio, sul palco c’è proprio Pietro Ingrao. Il muratore è Mastroianni.
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