Accusati di «lesioni aggravate», i carabinieri che arrestarono Stefano Cucchi

La Procura di Roma ieri ha iscritto sul regi­stro degli inda­gati altri carabinieri, tre dei quali, per la prima volta, con l’accusa di «lesioni dolose aggra­vate»

Una volta aperto un varco nel muro di omertà che aveva finora nasco­sto la verità sulla morte di Ste­fano Cuc­chi, la pro­cura di Roma pro­cede velo­ce­mente nell’inchiesta bis che si avvale della testi­mo­nianza spon­ta­nea di una cop­pia di cara­bi­neri. E ieri ha iscritto sul regi­stro degli inda­gati altri quat­tro mili­tari dell’Arma, tre dei quali, per la prima volta, con l’accusa di «lesioni dolose aggra­vate». Che vanno ad aggiun­gersi all’ex vice coman­dante della sta­zione di Tor Sapienza, Roberto Man­do­lini, il primo a finire, per falsa testi­mo­nianza, nel fasci­colo aperto dal pro­cu­ra­tore Giu­seppe Pigna­tone a sei anni dalla morte, rima­sta finora senza respon­sa­bili, del gio­vane romano arre­stato dai cara­bi­nieri per droga nella notte del 15 otto­bre 2009 e dece­duto una set­ti­mana dopo nel reparto peni­ten­zia­rio dell’ospedale Pertini.

Il pm Gio­vanni Musarò accusa di «lesioni» Ales­sio Di Ber­nardo, Raf­faele D’Alessandro e Fran­ce­sco Tede­sco, men­tre viene ipo­tiz­zato il reato di falsa testi­mo­nianza per Vin­cenzo Nico­lardi. Per rico­struire chi sono, vale la pena tor­nare all’articolo scritto sul mani­fe­sto da Luigi Man­coni e Valen­tina Cal­de­rone il 16 set­tem­bre scorso. Di Ber­nardo e D’Alessandro sono i mili­tari che «bril­lano per la loro acce­cante assenza» dai ver­bali, spa­ri­scono dalla prima inchie­sta e non ven­gono nep­pure mai sen­titi nel dibat­ti­mento che pure si è avvalso della testi­mo­nianza di oltre 150 per­sone e che si è con­cluso con l’assoluzione di tutti gli impu­tati: sei medici, tre infer­mieri e tre poli­ziotti penitenziari.

I due cara­bi­nieri, secondo la rico­stru­zione — mai smen­tita — del sena­tore Man­coni e di Cal­de­rone, insieme a Tede­sco ed altri due col­le­ghi sono coloro che «hanno effet­tuato la per­qui­si­zione domi­ci­liare e che sono stati insieme a Ste­fano Cuc­chi per più di un’ora, da quando cioè sono usciti dalla casa di Tor Pignat­tara fino al momento in cui è stato tra­sfe­rito nella caserma di Tor Sapienza». Vin­cenzo Nico­lardi, invece, sarebbe, secondo l’avvocato Fabio Anselmo, legale della fami­glia Cuc­chi, uno dei cara­bi­nieri che «por­tano Ste­fano dalla caserma di Via Appia, dove è stato con­dotto subito dopo la per­qui­si­zione domi­ci­liare, a quella di Tor Sapienza. Qui, inspie­ga­bil­mente, il mat­tino dopo, Nico­lardi viene pure richia­mato dal pian­tone di turno. Per far cosa non è chiaro e da quel momento se ne per­dono le tracce».

«Il vero dilemma — accusa Man­coni — è per­ché i pm che inda­ga­rono nella prima inchie­sta sal­ta­rono a pie’ pari le vicende della prima notte, quella che vedeva pro­ta­go­ni­sti i carabinieri ».

Una noti­zia, quella di ieri, che non stu­pi­sce la fami­glia e il loro avvo­cato: «Come ave­vamo detto fin da subito — com­menta Anselmo — la pro­cura di Roma è andata ben oltre il primo con­tri­buto alle inda­gini che noi abbiamo dato». Il legale si rife­ri­sce alla nuova peri­zia depo­si­tata che mostra frat­ture «recenti» su alcune ver­te­bre di Ste­fano, mai com­parse nei referti uffi­ciali. «E ora — aggiunge Ila­ria Cuc­chi, sorella della vit­tima — ho la sen­sa­zione che siano arri­vati ai respon­sa­bili della morte di mio fra­tello. Ma, sono sicura, altri nomi ver­ranno fuori: siamo solo all’inizio».

«Que­sta con­te­sta­zione, che rite­niamo essere prov­vi­so­ria, inter­rom­perà la pre­scri­zione — spiega Anselmo — Ma, lo riba­diamo con forza e lo stiamo pro­vando, senza quel o quei pestaggi Ste­fano sarebbe ancora vivo. Que­sto è certo ed ormai tutti lo hanno capito. Per que­sto — aggiunge — con­tiamo di far emer­gere altri ele­menti, in corso d’indagine, che per­met­tano di cam­biare l’ipotesi di reato in omicidio».

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