Sergio Segio: “Basta con l’accanimento. Spero che un giorno si possa dire che Sinistra è libertà”

Sergio Segio ha scontato 22 anni di reclusione per fatti di terrorismo. Oggi fa lo scrittore e dirige l’Associazione SocietàINformazione, con cui pubblica ogni anno il Rapporto sui Diritti Globali

 

In questi giorni Sergio Segio sta scontando sulla sua pelle una compressione della libertà legata al film tratto dal suo libro Miccia corta. Una storia di Prima Linea (Derive Approdi, 2005). Sergio Segio ha scontato 22 anni di reclusione per fatti di terrorismo. Oggi fa lo scrittore e dirige l’Associazione SocietàINformazione, con cui pubblica ogni anno il Rapporto sui Diritti Globali. Nel 2003 ha ricevuto il premio Rosario Livatino per l’impegno sociale. Lo abbiamo contattato per chiedergli cosa pensa del rapporto tra sinistra e libertà.

Sergio Segio, sono anni che curi il Rapporto sui diritti globali, cui lavorano tante altre associazioni, pubblicato da Ediesse, la casa editrice della Cgil. Quello è senz’altro un osservatorio privilegiato sulle libertà. Come sono state trattate le libertà in questi anni e in particolare quando governava il centrosinistra?

In questi ultimi due decenni c’è stato un progressivo slittamento della parola sicurezza. Una volta stava soprattutto a significare sicurezza sociale, politiche sociali, welfare, sicurezza sui luoghi di lavoro, ma pian piano è venuta a sovrapporsi con le questioni di ordine pubblico, con le paure e le criminalità. Questo ha fortemente contribuito a svuotare di concretezza, più che di significato, la parola libertà. Uno dei risultati è che, a livello di forze politiche e parlamentari, questa parola è stata, per così dire, scippata dalla destra, che l’ha usata cinicamente in direzioni di tutt’altro genere. In questi decenni il centrosinistra ha fatto a gara con il centrodestra, rincorrendolo sul terreno di un modo autoritario e repressivo di rispondere alle lacerazioni e alle contraddizioni sociali, sia attorno ai temi della sicurezza che nell’uso delle risorse pubbliche. Ancora in questi mesi stiamo assistendo a questa gara a chi vorrebbe destinare più risorse alle forze di polizia. Nessuno dice che l’Italia, tra i 27 paesi dell’Unione Europea, è quello che già oggi ha il più nutrito schieramento di forze di polizia: 324.000 uomini, 160.000 in più rispetto al Regno Unito, 70.000 in più rispetto alla Germania. Eppure abbiamo visto crescere anche l’uso dell’esercito in funzioni di ordine pubblico. Abbiamo visto quest’ultimo barbaro e sciagurato provvedimento del centrodestra legittimare e finanziare le ronde dei cittadini. In questo clima di deriva culturale autoritaria, fa ben sperare la scelta di Sinistra e Libertà, la voglia di rendere credibile l’intreccio tra queste due parole, che storicamente hanno faticato a stare assieme. Io spero che in futuro si possa dire Sinistra è libertà, con il verbo invece che con la congiunzione. Nominare programmaticamente la libertà è intanto la fondamentale precondizione perché ciò sia possibile nel futuro.

Vuoi spiegarci cosa sta succedendo rispetto al film La Prima Linea, tratto dal tuo libro Miccia corta?

E’ sempre un po’ spiacevole e faticoso parlare di casi personali. Comunque, sta succedendo che in questo paese in modo inavvertito è stato inaugurato il Minculpop, il Ministero della censura e del controllo politico sulla libertà di espressione, in questo caso sulla libertà artistica di fare cinema, nel senso che attorno a quel progetto cinematografico è in atto una censura preventiva, che si è nutrita in questi mesi di una campagna stampa molto pesante e di un linciaggio mediatico nei miei confronti. Tutto sommato non è una novità. In questo clima di incattivimento sociale, di barbarie legislativa, è normale che  una quota di cattiveria spetti anche agli ex terroristi. E’ invece preoccupante l’assenza di reazioni che c’è stata attorno a questa vicenda. Solo ieri sul sito www.societadellaragione.it è stato pubblicato un appello che si intitola Basta con l’accanimento. Vorrei chiedere a chi è in ascolto di leggerlo e di valutare di sottoscriverlo. Parlo di questo caso perché mi sembra paradigmatico di un clima e di una fragilità in chi storicamente, politicamente e socialmente è stato sempre attento a frequentare il terreno delle libertà civili, della qualità della democrazia. In questa fase rischiamo di non sentire più neanche quella flebile voce, che non ha la capacità di cambiare le cose ma ha un grande valore di testimonianza. La libertà è un valore che ne racchiude altri contigui. Se non difendiamo lo stato di diritto, le garanzie, la civiltà giuridica, credo che il futuro rischi di essere ancora più cupo di questo presente connotato da razzismo, xenofobia, guerre tra poveri, fenomeni volutamente sollecitati da un centrodestra che tenta così di sviare le proteste e l’attenzione. C’è bisogno di una nuova sinistra, attenta ai diritti e alle libertà. Il mio caso è uno dei tanti, che dovrebbe spingere ad una reazione rispetto a queste problematiche, che non riguardano solo un pugno di ex con gravi responsabilità nel passato, ma sono le cartine di tornasole di un revisionismo storico che sta avanzando a passi da gigante, nella società come in parlamento, dove si invocano le gogne, le castrazioni o l’espulsione di poveretti che scappano dai paesi del sud del mondo. Una sinistra che vuole recuperare il fondamentale valore della libertà non può essere assente o distante rispetto a questo.

* l’intervista è tratta dalla puntata del 19.3.2009 de “Il Tuffatore”, in onda su Radio Popolare Roma, 103.3 FM

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