È il 3 gennaio del 1982 e sono passate da poco le 15,30 quando una potente carica di esplosivo, ben venti chili, distrugge le mura di cinta del carcere femminile di Rovigo.
“Spariamo, spariamo. Poi smettiamo. Il boato è forte, quanto istantaneo. C’è un fumo così denso da sembrare notte, un pulviscolo infernale. Corro verso il recinto di passeggio e sparo una breve raffica. Ed ecco spuntare Susanna. Arriva di corsa”. È il 3 gennaio del 1982 e sono passate da poco le 15,30 quando una potente carica di esplosivo, ben venti chili, distrugge le mura di cinta del carcere femminile di Rovigo. Susanna Ronconi è stata liberata e con lei altre due detenute, Federica Meroni e Loredana Biancamano. A dare fuoco alla miccia è il comandante Sirio, appartenente al gruppo terroristico di sinistra Prima Linea così come le sue compagne appena evase. “Doveva essere un’azione motivata dall’amore e solidarietà verso i nostri compagni…si risolse invece in un nuovo lutto” dice il comandante Sirio, Sergio Segio, ventitre anni dopo. Perché in quell’azione trovò la morte un passante di sessantaquattro anni, Angelo Furlan, iscritto da sempre al PCI, colpevole solo di aver portato a spasso quel pomeriggio il suo cane nei pressi del penitenziario. Per questa azione e per altre Segio ha scontato ventidue anni di carcere e adesso, a pena conclusa, si occupa di volontariato sui problemi di carcere, esclusione e tossicodipendenze, mentre nel 2003 gli è stato conferito il premio internazionale all’impegno sociale “Rosario Livatino”. Di questa giornata, mai raccontata se non nelle aule di tribunale, ma anche delle lotte e dei movimenti degli anni Settanta, parla in “Miccia Corta, una storia di Prima Linea” (ed. Derive e Approdi), firmato dallo stesso Segio.
Un diario scritto, dice l’autore in un’intervista al Corriere del Veneto, supplemento locale del Corriere della Sera, “…per dare un piccolo contributo a comporre la memoria di quegli anni che non sia – come purtroppo mi pare invece si tenda generalmente a fare – una “balcanizzazione dei ricordi”, dove la memoria viene usata come clava, assolutizzandone alcuni frammenti, per coltivare all’infinito uno spirito di rancore o, dall’altro lato, per mantenere un atteggiamento di reticenza e autoassoluzione. Ho voluto farlo partendo dalla fine, da quell’episodio del 3 gennaio 1982 a Rovigo per la sua valenza emblematica di esito di un’epoca, dove sempre più evidente era divenuto il dissidio fra le passioni originarie, tese a una maggiore giustizia sociale, e le nostre pratiche, dove l’uso delle armi, all’opposto, produceva solo dolore ed ingiustizia”.
Da questo libro nasce anche un sito internet, www.micciacorta.it che, a partire da ciò che racconta il volume, intende diventare occasione di dibattito e di confronto, arrivando a delineare frammenti di memorie utili al superamento. Il sito raccoglie le recensioni al libro, estratti dal libro stesso e novità sugli eventi legati ad esso ma anche commenti e notizie sugli avvenimenti più recenti riguardo al terrorismo nazionale ed internazionale. Nella sezione dedicata ad “altre storie e vissuti” Segio invita ad inviare storie e racconti autobiografici che siano riconducibili ai contenuti del sito ed alla sua stessa esperienza. Per ora ce ne sono tre: “Storie di Potere operaio” di Cecco Bellosi, “Io non dimentico” di un ex militante delle Formazioni Comuniste Combattenti – Prima Linea (FCC-PL) e “Diario minimo di un altro tempo” di Susanna Ronconi, la stessa compagna di Sergio Segio liberata a Rovigo.
Dice l’autore nell’introduzione al volume: ”La storia di Prima Linea sinora non era mai stata scritta. I fatti forse allora erano troppo vicini. Ora sono probabilmente divenuti troppo lontani. Ma non dispero che questo Miccia Corta possa innescare finalmente un prossimo lavoro più ampio e collettivo. È un valore aggiunto che mi auguro di consegnare a queste pagine”. E continua: ” Espunta quella storia di deviazioni istituzionali da ogni possibile memoria, passati indenni tutti i suoi responsabili, attivi e passivi, si è malamente girata la pagina di quegli anni e di quello scorcio di Novecento. Ora è rimasto solo il dolore di quanti sono stati colpiti, dei loro famigliari. Ma anche di quelli dei militanti uccisi o a lungo incarcerati. Ed è rimasto l’eterno accanimento nei confronti dei vinti ”. E di quegli anni Settanta, in verità neanche così troppo lontani dalla memoria collettiva, che hanno portato un grandissimo numero di persone (solo in Italia si contano ventimila inquisiti per fatti relativi al terrorismo per un totale di oltre cinquantamila anni di galera già scontati) ad intraprendere la strada della clandestinità e della lotta armata ricorda : ”Ci siamo allora induriti, senza riuscire a mantenere la capacità di tenerezza. In un’anestesia morale progressiva, che ha avuto ragione delle nostre ragioni. La logica delle armi ci ha preso non solo la mano ma anche il cuore e la testa”.
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