Sicurezza. Il ddl del ministro che scarica sui sindaci: carcere ai manifestanti col volto travisato. 5 anni a chi usa caschi nei cortei, anche senza reato. Identificabili solo i reparti di ordine pubblico. Ma a protestare è la polizia
Arresto differito e fino a cinque anni di carcere per chi partecipa a cortei e manifestazioni facendo «uso di caschi protettivi ovvero di ogni altro mezzo atto a rendere impossibile o difficoltoso il suo riconoscimento». Anche senza aver partecipato ad alcuna violenza di piazza. E nessun identificativo per polizia e carabinieri, solo un “codice” per identificare i reparti in servizio di ordine pubblico.
E ancora: da 2 a 5 anni di pena e una multa da mille a 5 mila euro per chi lancia o utilizza tra l’altro «razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, bastoni, mazze, scudi, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti»; Daspo agli spacciatori, anche minorenni, con il divieto di accedere a discoteche e locali pubblici; aumento di pena per furti, scippi e rapine; rafforzamento delle misure di contrasto a quelle condotte considerate lesive del decoro urbano, come «l’accattonaggio invasivo nei luoghi pubblici».
Il ministro degli Interni Angelino Alfano ha trovata la soluzione ai problemi “più scottanti” della sicurezza urbana, passando alcune delle patate più bollenti del suo paniere direttamente nelle mani dei sindaci delle città metropolitane che, riuniti ieri nella sede dell’Anci di Roma, chiedevano strumenti e risorse per poter dare risposte alle paure dei cittadini.
Così le proposte sono finite in una bozza di disegno di legge messo a punto dal titolare del Viminale che «prevede — come spiega il primo cittadino di Milano, Giuliano Pisapia — un’estensione dei poteri dei sindaci per la tutela della sicurezza dei cittadini e nel contrasto al degrado, fermo restando la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine e sicurezza pubblica». La proposta è stata presentata ieri al vertice — Alfano assente, il relatore del testo è stato il coordinatore delle Città metropolitane e sindaco di Firenze, Dario Nardella — a cui hanno partecipato, oltre ai su citati, il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Fassino, e i sindaci metropolitani Bianco (Catania), Brugnaro (Venezia), Decaro (Bari), De Magistris (Napoli), Marino (Roma), Orlando (Palermo), Zedda (Cagliari), Falcomatà (R. Calabria) e Accorinti (Messina).
Subito dopo, la riunione è proseguita al Viminale, dove Alfano ha presieduto il tavolo con Nardella, Fassino, una delegazione dei sindaci metropolitani, il sottosegretario dell’Interno Bocci, il capo Gabinetto Lamorgese e il capo della Polizia Pansa. I sindaci ora hanno una settimana di tempo per presentare le loro osservazioni al testo e le loro proposte di modifica, anche se c’è già qualcuno che inizia a sentire puzza di bruciato, motivo per il quale oltre a responsabilità e poteri, i partecipanti al vertice hanno chiesto «un tavolo permanente per quanto riguarda le risorse necessarie in questo settore». Pisapia invece non mostra molti dubbi e giudica «positivamente» la proposta di Alfano.
Malgrado all’articolo 21 del ddl governativo sia prevista l’introduzione non di un codice alfanumerico identificativo del singolo agente o militare, ma di uno che identifichi il «reparto degli operatori in servizio di ordine pubblico» che «gli operatori devono esporre» durante le operazioni di piazza. Per l’obbligo però bisognerà in ogni caso attendere ancora, al contrario di tutte le altre disposizioni contenute nel testo ministeriale e in barba alle richieste del Parlamento europeo. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, infatti, un decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Cdm, determinerà «i criteri generali concernenti l’obbligo di utilizzo e le modalità d’uso del codice, prevedendo specificatamente che l’attribuzione del suddetto codice identificativo di reparto avvenga secondo criteri di rotazione per ciascun servizio». Altre disposizioni contenute nel ddl, suddiviso in tre parti e 22 articoli, prevedono anche il divieto per il personale in servizio di ordine pubblico di indossare «caschi e uniformi assegnati ad operatori al altro reparto», pena una «sanzione amministrativa pecuniaria di 5 mila euro nonchè la sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento di appartenenza».
I sindacati di polizia di questo Paese, ancora una volta, plaudono a tutte le proposte tranne all’introduzione del codice identificativo, anche se potrebbe al massimo servire per capire a quale contingente appartengano i tutori dell’ordine pubblico.
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