E’ morto a 68 anni Massimo Pavarini, ordinario all’università di Bologna e studioso di fama internazionale della criminologia critica. Giovedì 1 ottobre i funerali presso la facoltà di Giurisprudenza nella città felsinea
Sfibrato da un male incurabile, è morto a Bologna Massimo Pavarini, ordinario di diritto penale nell’Università felsinea ed esponente di fama internazionale della criminologia critica italiana. Aveva 68 anni.
In Italia nessuno come Massimo Pavarini ha indagato, compreso e spiegato cosa sia il sistema penale e penitenziario «in action».
Alla felice intuizione sua e di Dario Melossi — allora giovani studiosi del gruppo che, intorno ai maestri Alessandro Baratta e Franco Bricola, diede vita a «La questione criminale», la rivista della criminologia critica italiana tutt’ora attiva sotto la denominazione di «Studi sulla questione criminale» — dobbiamo – alla metà degli anni Settanta – la scoperta in Italia dell’economia politica della pena proposta da Georg Rushe e Otto Kircheimer nell’ambito dell’attività di ricerca della scuola di Francoforte.
Ne verrà un opera fondamentale come «Carcere e fabbrica», tutt’ora letta e commentata dagli studiosi del funzionamento della penalità in tutto il mondo.
Sul finire degli anni Ottanta, grazie alla mediazione del Centro per la riforma dello Stato di Pietro Ingrao, con Beppe Mosconi coordinerà la più imponente (e insuperata) ricerca sulla flessibilità della pena in fase esecutiva, le alternative alla detenzione e il potere discrezionale della magistratura di sorveglianza. E sarà ancora Massimo, con il Progetto «Città Sicure» della Regione Emilia-Romagna, a guidare la criminologia critica italiana sugli impervi sentieri delle politiche locali di sicurezza, nello strenuo tentativo di «Governare la penalità», come dice il suo ultimo libro, pubblicato lo scorso anno dalla Bonomia University Press.
Per noi di Antigone è stato un maestro, un amico e un punto di riferimento imprescindibile.
Il nostro annuale lavoro di relazione sulle condizioni di detenzione sarebbe impensabile senza le premesse metodologiche contenute nel suo studio sulla criminalità punita e i processi di carcerizzazione nell’Italia del Novecento pubblicato nella «Storia d’Italia» Einaudi. E per questo chiedemmo proprio a lui la postfazione al primo rapporto del nostro osservatorio sulle carceri.
Da realista incallito, dubitava che si potesse parlare di diritti in carcere e recentemente promosse con Livio Ferrari un’importante iniziativa abolizionista, ma condivise la nostra scelta di porci su quell’ultima frontiera, a tutela dei diritti umani dei detenuti, da conquistare e garantire giorno per giorno, palmo a palmo, caso per caso.
Per queste non piccole ragioni e per la sua straordinaria simpatia e disponibilità umana, ci mancherà moltissimo e, per quanto ne saremo capaci, cercheremo di tenerne vivo l’insegnamento.
Compagni e amici, allievi e colleghi saluteranno Massimo Pavarini giovedì primo ottobre, alle 14,30, presso la Scuola di Giurisprudenza, in via Zamboni 22 a Bologna.
Alla moglie Pirca, alla figlia Rebecca e alla piccolissima nipote Matilde le condoglianze del collettivo de «il manifesto»
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