Solo nei primi mesi di «pace», in presenza delle truppe di Tudjman nella Krajina furono uccisi circa tremila vecchi e donne
RIJEKA (FIUME). L’Operazione Tempesta, l’ultima di una serie sferrate nei quattro anni di guerra civile — che i croati definiscono «patriottica» — cominciata nell’estate del 1991 in Croazia, si concluse in 78 ore il 5 agosto 1955.
Nel corso dell’«OperazioneTempesta», oltre alle truppe serbe mandate in Croazia da Milosevic, dalla Croazia, e soprattutto dalla regione occupata-liberata dalle milizie, furono costretti a fuggire non meno di 250mila civili serbi i cui antenati vivevano pacificamente nella cosiddetta Krajina da almeno quattro secoli.
La «liberazione» (pulizia etnica) della Krajina fu l’inizio di una sistematica distruzione delle case abbandonate dai serbi (ne furono incendiate circa trentamila), di occupazione delle altre abitazioni da parte di croati arrivati da Bosnia-Erzegovina e Dalmazia con lo scopo di colonizzare e croatizzare etnicamente quelle terre.
Solo nei primi mesi di «pace», in presenza delle truppe di Tudjman nella Krajina furono uccisi circa tremila vecchi e donne delle poche decine di migliaia che, sperando nel futuro, non si erano dati alla fuga. Per questi crimini furono processati all’Aja tre generali croati, poi completante assolti in appello. E il procuratore Carla Del Ponte, proprio poco dopo la morte di Franjo Tudjman nel 1999 scrisse nelle sue memorie che purtroppo aveva da tempo pronta l’incriminazione contro di lui per «crimini di guerra»; insomma l’incriminazione non è mai arrivata. La conclusione della «Tempesta», infine, diede inizio a un’ondata d’odio contro tutto ciò che in Croazia non è croato, soprattutto contro l’etnia serba.
A venti anni esatti dalla fine di quella guerra, celebrazioni per due giorni e in pompa magna della «Giornata della Vittoria», con sfilate e bandiere anche di paesi Nato — che collaborò all’avvio della «Tempesta» bombardando in segreto i ripetitori di Knin — come quella britannica insieme a quella provocatoria dell’Albania.
Ora la Croazia fa parte dell’Alleanza atlantica. Ma come si deduce dai discorsi e da dichiarazioni ufficiali dei leader di Belgrado e Zagabria, l’ondata dell’odio etnico, dell’ipernazionalismo, non solo non è cessata ma va gonfiandosi, diffondendo miasmi e veleni.
Sfilano i veterani neoustascia
Un esempio da Fiume, la più pacifica città della Croazia finora. Il Teatro del Popolo del capoluogo del Quarnero ha invitato cinque donne di nazionalità diversa, vittime della guerra, a narrare davanti a un pubblico numeroso le agghiaccianti peripezie vissute, i terribili fatti accaduti nei giorni della «Tempesta».
Cinque donne con un passato estremamente difficile da ricordare e da raccontare, dovuto alla Guerra cosiddetta patriottica. Ebbene, prima ancora che cominciasse questo incontro-confessione al Teatro attraverso storie di vita e drammi familiari che hanno commosso oltre duemila spettatori, un corteo di alcune centinaia di veterani combattenti della «guerra patriottica» ha attraversato il centro della città e, sotto, il vessillo dell’Associazione dei Volontari di quella guerra , ha organizzato manifestazioni di odio nazionalistico.
Ha scritto il quotidiano di Fiume in lingua italiana La Voce del Popolo: «Ricordava uno squadrone fascista», rivolgevano parole d’odio contro il sovraintendente del Teatro e contro il sindaco di Fiume, inneggiando allo Stato ustascia di Ante Pavelic con canti e saluti nazisti, e sventolando vessilli del regime quisling fascista croato del 1941–1945. Successivamente un gruppo di neoustascia ha raggiunto il Teatro, cercando di penetrarvi con la forza e aggredire con bastoni il pubblico, ma è stato bloccato dalla polizia.
In conclusione, le parole di una delle donne testimoni della Tempesta, una croata allora perseguitata per avere sposato un serbo di Krajina. Partorì il primo figlio, oggi studente universitario ventenne, sulla strada della fuga. Terminando la testimonianza ha citato le parole del Nobel jugoslavo per la letteratura Ivo Andric: «Non distruggete i ponti, forse un giorno desidererete di tornare».
Lei è tornata in Croazia, suo figlio continua a vivere a Pancevo, in Serbia, l’unica terra che conosce.
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