Forze dell’ordine. La rimilitarizzazione dei corpi dopo l’illusione della riforma democratica
Pestato, brutalmente immobilizzato, Federico morì «riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena». Aldrovandi è solo uno dei tanti casi di violenze e abusi di polizia. Dino Budroni, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, Riccardo Rasman e Giuseppe Uva sono solo i più eclatanti degli ultimi dieci anni. Persone che, sotto la custodia dei tutori della legge, hanno trovato la morte, vittime dello Stato.
C’è spesso un filo ricorrente in queste storie: l’ammanettamento dietro la schiena. Non direttamente la causa dei decessi ma spesso corresponsabile. Anche Andrea Soldi, già senza forze e con una crisi respiratoria in corso, è stato ammanettato dietro la schiena e così caricato sull’ambulanza.
È una pratica diventata consuetudine da vent’anni a questa parte. Esiste una fotografia, che mai si è sbiadita nel tempo e che ha “sdoganato” questa modalità nell’immaginario pubblico: è l’arresto di Giovanni Brusca, soprannominato in siciliano u verru (il porco), oppure lo scannacristiani per la sua ferocia, il 20 maggio del 1996. Negli anni è diventato un approccio abituale da parte delle forze dell’ordine, dal pericoloso mafioso allo studente in corteo. Anche quando assolutamente non necessario. Non è raro assistere, durante manifestazioni, al fermo di ragazzini buttati a terra, ammanettati dietro la schiena, con almeno tre agenti sopra che li immobilizzano. Una pratica rischiosa per la salute del fermato.
Come mai è diventata prassi? Se si ricercano vecchi scatti che immortalano l’arresto di terroristi spesso fanno saluti politici con le manette ai polsi. L’ammanettamento dietro la schiena è figlia dell’involuzione iniziata nei Novanta, gli anni di un’americanizzazione della polizia italiana, di una rimilitarizzazione dopo l’illusione della riforma del 1981, che fu il tentativo di democratizzare un corpo facendolo diventare istituzione. Ecco, il filo che porta a Genova 2001. Si radicò un’impostazione di stampo americano, che diede il via all’era dei superpoliziotti, incarnati dalla figura del futuro capo della polizia, Gianni De Gennaro. La sua inarrestabile scalata iniziò nel 1992 alla Dia e si coronò nel 2006 con la Medal of Meritorious Achievement dell’Fbi, attribuita per la prima volta a un rappresentante di polizia fuori dagli Usa.
Nei primi ’90, un’anomala efficienza delle volanti di polizia a Bologna (gli arresti erano aumentati del 75%) fu elogiata dai vertici dell’amministrazione, che decisero di organizzare, tra il ’91 e il ’92, al Jolly Hotel un ciclo di lezioni teoriche proprio per insegnare nuovi modelli organizzativi e tecniche. «Contestammo – racconta Luigi Notari, all’epoca segretario provinciale del Siulp – i corsi: quell’efficienza corrispondeva a un discutibile rambismo. C’erano stati comportamenti insoliti, che poi, dopo i fatti della Uno bianca, furono riferiti alla commissione d’inchiesta interna». Infatti, per la cronaca Roberto Savi, componente della banda, era un operatore delle volanti a Bologna, formatosi in quel nuovo clima.
Allora, come oggi relativamente al caso di Andrea Soldi, il problema non è quello delle “mele marce”, che si comportano senza seguire i protocolli, ma la formazione e la mentalità delle forze dell’ordine.
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