Ame­lia, we shall overcome

Stati uniti. È scomparsa a 104 anni Amelia Boynton. Nel marzo 1965 era stata una delle organizzatrici della prima delle Marce di Selma

Stati uniti. È scomparsa a 104 anni Amelia Boynton. Nel marzo 1965 era stata una delle organizzatrici della prima e più drammatica di quelle tre dimostrazioni che avrebbero fatto dire a Obama: «È perché loro hanno marciato che io ho avuto l’educazione che ho avuto»

Nei giorni dello scorso marzo, in cui gior­nali e tele­vi­sioni sta­tu­ni­tensi davano noti­zia delle com­me­mo­ra­zioni delle «Marce di Selma», le imma­gini mostra­vano Barack Obama che teneva per mano una vec­chia signora rugosa ed ele­gante, seduta su una carrozzella.

Era Ame­lia Boyn­ton, che nel marzo 1965 era stata una delle orga­niz­za­trici della prima e più dram­ma­tica di quelle tre dimo­stra­zioni. Boyn­ton, che era nata il 18 ago­sto 1911, è scom­parsa ora, a 104 anni. Anche nel 1965 tutti l’avevano vista: foto­gra­fata men­tre era a terra, sve­nuta e ferita per le man­ga­nel­late dei poli­ziotti che ave­vano cari­cato i dimo­stranti sull’Edmund Pet­tus Bridge, a Selma, in Ala­bama, il giorno prima, dome­nica 7 marzo, Bloody Sun­day. Il 9 marzo, Mar­tin Luther King aveva gui­dato fino allo stesso ponte una seconda mar­cia, meno nume­rosa, che si era sciolta dopo un sim­bo­lico minuto di rac­co­gli­mento, davanti ai cor­doni della poli­zia nuo­va­mente schierata.

E il 21 marzo, dopo una tesa trat­ta­tiva — frut­tuosa — tra King e il pre­si­dente John­son, par­tiva la terza mar­cia, che in quat­tro giorni avrebbe por­tato migliaia di dimo­stranti da Selma a Mont­go­mery, la capi­tale dell’Alabama. Que­sta volta sotto la pro­te­zione della guar­dia nazio­nale e delle truppe fede­rali. Intanto, il 15 di quel mese, John­son aveva pro­nun­ciato parole forti di con­danna delle vio­lenze di Selma, dicendo agli ame­ri­cani che la causa degli afroa­me­ri­cani «deve essere anche la nostra causa. Per­ché non sono solo i negri, ma siamo tutti noi che dob­biamo vin­cere la para­liz­zante ere­dità dell’intolleranza e dell’ingiustizia. E vinceremo».

Le sue parole finali erano state quelle dell’inno del movi­mento: We shall over­come. Era il 1965. Il 6 ago­sto di quell’anno Lyn­don B. John­son avrebbe fir­mato la legge sul diritto di voto che i movi­menti afroa­me­ri­cani ave­vano riven­di­cato a inte­gra­zione di quella sui diritti civili dell’anno prima. E Ame­lia Boyn­ton era stata invi­tata alla Casa Bianca, a pre­sen­ziare alla firma. Prima di allora era stata una delle ano­nime, osti­nate afroa­me­ri­cane dispo­ste a rischiare la vita per con­vin­cere a regi­strarsi nelle liste elet­to­rali degli stati del Sud e ad andare a votare.

Aveva stu­diato — nelle scuole e nei col­lege in cui era per­messo farlo ai gio­vani neri — e aveva comin­ciato la sua opera di pro­se­li­ti­smo negli anni Trenta. Fu parte di quel pre­zioso «capi­tale umano» su cui i gio­vani pote­rono con­tare quando die­dero vita ai movi­menti con­tro la segre­ga­zione e per i diritti civili negli anni Cinquanta-Sessanta. Non ha sba­gliato Ava DuVer­nay, regi­sta del film Selma-La strada per la libertà, cir­co­lato nelle nostre sale lo scorso inverno, a mostrare Ame­lia Boyn­ton che acco­glie nella pro­pria casa i prin­ci­pali orga­niz­za­tori mate­riali delle dimo­stra­zioni, il reve­rendo James Bevel, della Sou­thern Chri­stian Lea­der­ship Con­fe­rence, e John Lewis, dello Stu­dent Non­vio­lent Coor­di­na­ting Com­mit­tee. Insieme a loro, nel film — come nella realtà — sono pre­senti figure cen­trali di que­gli eventi, dai reve­rendi Mar­tin Luther King, Ralph Aber­na­thy e Hosea Wil­liams ai più gio­vani Andrew Young e Diane Nash.

È a loro e a tutti i mili­tanti di que­gli anni che fece rife­ri­mento Obama quando, lan­ciando la sua cam­pa­gna elet­to­rale il 4 marzo 2007 pro­prio da Selma, disse: «È per­ché loro hanno mar­ciato che io ho avuto l’educazione che ho avuto…È per­ché loro hanno mar­ciato che io sono qui davanti a voi oggi. Io sto in piedi sulle spalle di giganti».

Otto anni dopo i fatti e le per­sone che erano state «giganti» cinquant’anni prima sono state richia­mate alla memo­ria con le com­me­mo­ra­zioni, il film, e ora il ricordo di Ame­lia Boyn­ton, men­tre le cro­na­che sono piene di offese ripe­tute, cre­scenti alla com­po­nente sociale afroa­me­ri­cana e ai diritti con­qui­stati così fati­co­sa­mente. Il diritto di voto è sem­pre più con­te­stato negli stati a guida repub­bli­cana. Il grande poten­ziale sim­bo­lico dell’elezione di Obama non solo non ha avuto l’attesa rica­duta sociale posi­tiva, ma ha infiam­mato una vera pro­pria rea­zione raz­zi­sta. A cui nes­sun movi­mento di massa è per ora in grado di rispondere.

Da tempo Ame­lia stava, per così dire, da un’altra parte. Dopo la fine di quella sta­gione si era avvi­ci­nata a una for­ma­zione poli­tica, nata come Natio­nal Cau­cus of Labor Com­mit­tees, che si era mossa per alcuni anni lungo un ambi­guo cri­nale di sinistra-destra, prima di lasciare cadere i richiami alla sini­stra internazionale.

Fon­dato da Lyn­don LaRou­che a fine anni ’60, il Nclc diede vita a un isti­tuto di ricerca poli­tica di destra espli­cita, lo Schil­ler Insti­tute, di cui Boyn­ton è stata diri­gente. E fu lo stesso Isti­tuto che le ripub­blicò il rac­conto auto­bio­gra­fico (in forma ridotta e forse cen­su­rata) Bridge Across Jor­dan, che Boyn­ton aveva pub­bli­cato nel 1979.

You may also like

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password