Diritti. La richiesta è solo una: «Ribadire per malati e consumatori il diritto a coltivare una pianta»
Dopo 8 anni di Fini-Giovanardi dove esisteva «l’istigazione al consumo», che ha portato addirittura i festival (vedi il «reggettaro» Rototom ad abbandonare l’Italia), la 15esima edizione italiana della Million Marijuana March diventa stanziale. Dentro Roma, alla Città dell’altra economia, ieri dalle 13 a notte diverse migliaia di persone sono scese in strada per dire no al proibizionismo, per ribadire il diritto alla coltivazione di un pianta. Una legge infatti, per l’appunto la Fini-Giovanardi, considerata la più proibizionista d’Europa, approvata nel 2006 inserita abilmente nel decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, per poi essere approvata a Camere sciolte e con doppio voto di fiducia dal terzo governo Berlusconi, è stata dichiarata incostituzional nel febbraio del 2014. «È trascorso un anno da quando i giudici hanno messo nero su bianco questa cosa — spiegano gli organizzatori — e in carcere tuttora restano migliaia di persone che sono state condannate in base a una legge non più in vigore».
È così in molte città, dove soltanto con l’intervento di un avvocato il procedimento viene avviato. «In Italia non siamo tutti uguali davanti alla legge», denunciano i promotori. La norma in questione, prevedeva ad esempio l’inversione dell’onere della prova, in pratica il dover dimostrare di non essere uno spacciatore ma un consumatore. Dopo aver letto quella parte si dice che nei palazzi del potere europeo siano saltati dalle sedie.
«Con quella legge – continua la rete italiana antiproibizionista che ogni anno organizza questo evento — l’Italia si era posta al di fuori persino dei pilastri europei in materia, che prevedono politiche di riduzione del danno e soprattutto del rischio. In pratica quelle che servono a tutelare la salute delle persone».
Momenti di tensione si sono registrati con i venditori abusivi. Suscitando diverse polemiche quest’anno anche l’edizione italiana era diventata un happening stanziale, in un’area pubblica, abbandonando la manifestazione in stile «street parade». Una scelta analoga era stata fatta da tempo in altre parti del mondo (oggi la stessa manifestazione si è svolta in quasi 700 città). Gli organizzatori ci tengono a dire «sarà così, almeno per ora».
Il motivo lo si è visto poche ore dopo l’inizio dell’iniziativa. Quando i venditori della camorra, che imperversano in tutte le manifestazioni capitoline, hanno iniziato a invadere lo spazio per vendere da bere e in questo caso anche erba. La musica è stata spenta. «Doveva reagire la piazza — spiegano ancora gli organizzatori — quelli che vengono qui dovrebbero avere la consapevolezza di cosa significa essere contro le mafie, contro il “sistema”». È servito controllare gli ingressi, per una manifestazione che va specificato è totalmente gratuita, per far sì che i venditori abusivi restassero all’esterno, praticamente tutti provenienti dell’hinterland partenopeo.
In quella che è diventata una piazza a favore dell’autoproduzione con 7 sound system, le associazioni che si battono per la qualità della vita e l’ambiente, workshop informativi, dibattiti, autoproduzione agroalimentare a chilometro zero. Siamo qui tutti insieme per dire no alla trasformazione di un monopolio in un duopolio, perché non vogliamo che alle mafie si sostituiscano le concessioni rilasciate alle multinazionali del tabacco e del farmaco», continuano.
La richiesta è solo una: «Ribadire per malati e consumatori il diritto a coltivare una pianta».
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