No Tav. Processo alle parole dello scrittore, un’ora di botta e risposta in aula: «Chiomonte come Gerico, che fu abbattuta da un coro unanime di voci che fecero crollare le sue mura»
«Sono uno che può istigare alla lettura o al massimo alla scrittura». Parole di Erri De Luca, ieri in aula a Torino nel processo in cui deve rispondere all’accusa di aver istigato al sabotaggio della Tav in due interviste.
«La conseguenza della parola — ha proseguito — è la parola stessa. Io sono responsabile di quello che dico. E basta. Non sono un tribuno o un politico, sono semplicemente uno scrittore che sostiene le cause che ritiene giuste, dalla Val di Susa a Lampedusa».
Il processo alle parole dello scrittore ha suscitato una vasta eco internazionale. L’appello in difesa di De Luca – firmato da Salman Rushdie e Paul Auster – è arrivato fino all’Eliseo, raccogliendo, a sorpresa, anche il consenso del presidente francese François Hollande: «Gli autori non vanno perseguiti per i loro testi». Attualmente, invece, accade in Italia.
Così, ieri, nell’aula 44 del Tribunale di Torino, gremita di giornalisti e sostenitori, Erri si è seduto al banco degli imputati e ha risposto alle domande del pubblico ministero Antonio Rinaudo, che con il collega Andrea Paladino sostiene l’accusa. Al centro dell’interrogatorio, l’ormai celebre intervista all’Huffington Post del settembre 2013. «Il sabotaggio della Tav – ha spiegato davanti ai giudici – è necessario ma nel senso di ostruire, impedire l’opera. Quando ho rilasciato le mie dichiarazioni non sapevo si parlasse di molotov, ero a conoscenza soltanto delle cesoie servite a tagliare le reti del cantiere. E se si tratta di reti posizionate illegalmente, allora le cesoie avrebbero ripristinato la legalità».
De Luca ha sottolineato: «Il verbo sabotare ha diversi significati sul dizionario, il primo è danneggiamento materiale, ma gli altri coinvolgono i verbi intralciare, ostacolare e impedire. Per quanto mi riguarda, ritengo che la Tav vada intralciata, ostacolata e impedita e, quindi, sabotata». E ha ribadito come «sabotare abbia molti significati nobili, giusti e necessari, progressisti e pacifici». A margine della seduta, lo scrittore ha fatto l’esempio dei pescatori di Lampedusa che hanno sabotato la legge che impediva a loro di recuperare naufraghi in mare.
Rispondendo ai pm, De Luca, in riferimento a una lotta che segue da dieci anni da vicino, ha aggiunto: «In Valle di Susa c’è un’intera comunità che dagli anni Novanta in varie forme porta avanti una campagna di ostruzione contro quest’opera, una linea di presunta alta velocità e modesta accelerazione tra Torino e Lione».
Sul blindatissimo sito di Chiomonte, De Luca ha fatto un parallelo evocativo, citando la Bibbia: «Il cantiere della Tav non è il Palazzo d’Inverno, che va espugnato con la forza e cancellato. Ma è come la città di Gerico, che fu abbattuta da un coro unanime di voci che fecero crollare le sue mura».
Quello, a Erri De Luca, è un processo campale nella sua eccezionalità e discutibilità. E lo stesso autore de Il peso della farfalla a spiegarne il motivo, accanto al cantautore e amico Gianmaria Testa, presente ieri tra il pubblico: «Questo processo – ha precisato lo scrittore, uscendo dall’aula, fra gli applausi dei numerosi sostenitori – mette a repentaglio la libertà d’espressione contraria, quella favorevole e ossequiosa, invece, è sempre accolta a braccia aperte».
Un’ora di botta e risposta: «Non mi è mai stata attribuita la responsabilità di aver istigato. Lo ha fatto solo la procura di Torino» ha aggiunto De Luca. L’avvocato di parte civile, Alberto Mittone, che assiste la società Ltf (Ltf-Lyon Turin Ferroviare, a cui è succeduta recentemente Telt), ha prodotto in aula le foto di alcune scritte su una colonna in piazza Solferino che recitano «Sabotav» con l’immagine di una bottiglia incendiaria: «Un acronimo nuovo di cui non conoscevo l’esistenza — ha commentato lo scrittore – non sono stato certo io a ispirarlo».
È significativo ricordare l’uscita infelice, il giugno scorso, di uno dei due sostituti procuratori: «Al barbiere di Bussoleno possiamo perdonare se dice di tagliare le reti, a un poeta, a un intellettuale come lui, no». De Luca rispose indirettamente: «Fino a oggi non sapevo che tra i poteri di un pubblico ministero ci fosse anche la facoltà del perdono». Il processo è stato aggiornato dal giudice monocratico, Immacolata Iadeluca, al 21 settembre.
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