La memo­ria offesa

Oggi la memo­ria dei pro­ta­go­ni­sti di allora, dei par­ti­giani della mon­ta­gna, dei caduti, dei depor­tati, di coloro che ci resti­tui­rono dignità e libertà, è una memo­ria offesa

L’Italia «nata dalla Resi­stenza» è affon­data nel Canale di Sici­lia insieme ai corpi delle cen­ti­naia e cen­ti­naia di donne, uomini e bam­bini in fuga dalla guerra e dalla fame. La Costi­tu­zione «nata dalla Resi­stenza» è a rischio di grave mano­mis­sione in un Par­la­mento che un Capo del Governo arro­gante e fret­to­loso vor­rebbe ridurre ad appen­dice del pro­prio per­so­nale volere.

Quello stesso «Pre­mier» che par­te­cipa, com­plice, al feroce gioco di un con­sesso euro­peo in cui si vor­rebbe imporre, col ricatto eco­no­mico, al g overno della Gre­cia — un Paese che della Resi­stenza è sim­bolo — di tra­dire pla­teal­mente il man­dato demo­cra­tico del pro­prio popolo.
È uno spet­ta­colo inguar­da­bile quello che l’Italia uffi­ciale ci offre in que­sto tri­stis­simo 25 Aprile. Quella stessa Ita­lia uffi­ciale che, come se niente fosse, si pre­para a cele­brarlo. E a far­sene scudo.

Dovrebbe recare imba­razzo (per usare un eufe­mi­smo) il fatto che il brac­cio destro (per le con­tro­ri­forme) di quello stesso Capo del Governo sia oggi a Sant’Anna di Staz­zema, uno dei luo­ghi sim­bolo del sacri­fi­cio di allora. E che il suo cer­chio magico si sparga per l’Italia a par­lare, per un giorno, di que­gli stessi valori che tra­di­sce, men­tre i suoi seguaci si per­met­tono (è acca­duto ad Ales­san­dria) di met­tere veti sugli ora­tori uffi­ciali non di stretta osser­vanza.
La memo­ria non è un resi­duo, da rie­su­mare per l’occorrenza, come orna­mento o come scudo alle pro­prie ver­go­gne. Vive in stretto rap­porto con l’attualità imme­diata e di essa si ali­menta. Se sepa­rata o addi­rit­tura con­trap­po­sta alle emer­genze del pre­sente, si rove­scia nel suo con­tra­rio. Da omag­gio in oltrag­gio per coloro che sono ricordati.

Per que­sto oggi la memo­ria dei pro­ta­go­ni­sti di allora, dei par­ti­giani della mon­ta­gna, dei caduti, dei depor­tati, di coloro che ci resti­tui­rono dignità e libertà, è una memo­ria offesa. La riscat­tano, «in basso», quanti con­ti­nuano a dare senso a quel mes­sag­gio. I ragazzi di Terra del Fuoco che a Torino hanno occu­pato la Caserma di via Asti, allora luogo di tor­tura per farne oggi luogo d’incontro e di soste­gno alle vit­time della crisi. I volon­tari che pra­ti­cano silen­zio­sa­mente l’accoglienza, e nelle peri­fe­rie dell’abbandono com­bat­tono il virus del raz­zi­smo. Le popo­la­zioni che difen­dono il pro­prio ter­ri­to­rio dalla deva­sta­zione. I lavo­ra­tori, che non si arren­dono alla can­cel­la­zione dei pro­pri diritti. Quelli, insomma, che con­ti­nuano a resistere.

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