Stragi di Stato. Dopo l’ultima sentenza di Palermo i veri autori devono parlare
La recente decisione della prima sezione civile della Corte d’appello di Palermo, che segue quattro sentenze in primo grado del 2011, ha avuto eco in Italia soprattutto per due motivi: l’obbligo di risarcimento in favore di una rappresentanza dei familiari delle vittime (che dunque sconfessa l’Avvocatura dello stato e il governo che l’avevano invece negato) e in secondo luogo la conferma che l’abbattimento del Dc-9 Itavia fosse l’effetto di un’azione militare. Quello che posso sottolineare, come giurista e segretario del Comitato Ustica di Parigi, è che anche quest’ultima decisione giudiziaria debba indurre la necessità storica di un vero e proprio «controprocesso» e di una fase di verità, con o senza riconciliazione.
La verità, infatti, può emergere a vari livelli. Uno di questi è sicuramente quello giudiziario e delle commissioni parlamentari d’inchiesta, e a questo livello non ci sono più dubbi che l’abbattimento e la strage sono direttamente legati ad operazioni militari tattiche. Un altro livello di verità è quello politico, e qui invece ancora non vi sono conferme sulla paternità francese o nordamericana o israeliana del missile infame, né sul reale obiettivo dell’azione militare (una vulgata vorrebbe uno scenario di inseguimento, finito con l’abbattimento di un Mig libico, un’altra un agguato aereo a Gheddafi).
Un terzo livello di verità è quello che viene in genere occultato dai depistaggi e dagli insabbiamenti, e riguarda soprattutto le complicità «ai lati» o «in basso», cioè la funzione di quella vasta manovalanza di esercito, polizie e servizi, quando non di altri ordini dello stato come quello giudiziario, e che nel concreto tendono a fornire una verità alternativa che tenga conto degli interessi strategici e politici. Per semplificare, questo è il vero livello della «ragion di stato», all’opera ad esempio anche nella recente condanna europea delle torture applicate agli arrestati nella scuola Diaz alla fine del G8 di Genova del 2001. Come si vede, è difficile, a 35 anni di distanza dal 27 giugno 1980 opporre un altro livello di verità, valido per la stazione di Bologna come per altre stragi di stato. Ad esempio il punto di vista delle vittime e delle associazioni. Ma anche il punto di vista storico, che manca interamente nel nostro paese e in Europa e che invece potrebbe ricostruire in tempi molto più brevi una verità che venga proprio dagli autori veri di quelle stragi e dai loro mandanti politici e istituzionali.
Chiamatelo «controprocesso», come negli anni ’70, oppure «commissione di verità e riconciliazione», come in Brasile, Est Europa e Sud Africa. Ma è di questo che l’Italia ha bisogno per elaborare un lutto che è in primo luogo democratico, politico, civile, nazionale, collettivo.
* segretaria del Comitato Ustica di Parigi
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