Sì Tav alla sbarra

Si è aperto a Torino il processo del «tribunale dei popoli» alle grandi opere, in Valsusa e nel resto d’Europa. Livio Pepino ha rappresentato l’accusa, perorando i diritti dei cittadini

Luis Moita ha ripreso le parole di Jean Paul Sar­tre, fon­da­tore del Tri­bu­nale Rus­sell, e ha sot­to­li­neato: «Noi non siamo qui per giu­di­care o punire, siamo qui per rive­lare e per libe­rare le società oppresse». Socio­logo delle rela­zioni inter­na­zio­nali a Lisbona, è mem­bro della giu­ria del Tri­bu­nale per­ma­nente dei popoli (Tpp). È toc­cato pro­prio a lui, ieri, rom­pere il ghiac­cio nella nuova aula magna della Uni­ver­sità di Torino, gre­mita per l’inizio del pro­cesso al Tav, che dovrà valu­tare se i diritti fon­da­men­tali della popo­la­zione val­su­sina siano stati o meno rispettati.

E pro­verà a dare una rispo­sta a quella domanda di giu­sti­zia e par­te­ci­pa­zione ina­scol­tata per 25 anni, da quando era spun­tato il pro­getto di una linea fer­ro­via­ria ad alta velo­cità tra Torino e Lione, all’inizio appa­ren­te­mente desti­nata solo ai pas­seg­geri poi anche alle merci, vista la caduta ver­ti­cale della domanda di tra­sporto di persone.

L’aula magna si è riem­pita velo­ce­mente. Dalla Valle sono arri­vati in tanti: quelli che c’erano già nel 2005, sul ponte del Seghino o a Venaus, quelli che nel 2011 pre­pa­ra­vano i pasti alla Libera Repub­blica della Mad­da­lena, quelli che hanno preso botte e lacri­mo­geni nei sen­tieri della Cla­rea e quelli che non hanno mai sal­tato un’assemblea. Sono loro i pro­ta­go­ni­sti della nuova ses­sione del Ttp, dedi­cata a «diritti fon­da­men­tali, par­te­ci­pa­zione delle comu­nità locali e grandi opere», che, par­tendo dalla Torino-Lione, indaga sto­rie simili – dal con­te­stato aero­porto fran­cese di Notre Dame des Lan­des allo sfrut­ta­mento delle miniere in Rosia Mon­tana e Corna, Roma­nia – in cui le scelte rela­tive alla vita e al futuro di intere comu­nità sono sot­tratte alle popo­la­zioni da grandi poteri eco­no­mici e finanziari.

Il Tpp, tri­bu­nale d’opinione erede del Rus­sel I (sui cri­mini di guerra in Viet­nam com­messi dall’esercito sta­tu­ni­tense) e II (sulla vio­la­zione dei diritti umani in Cile) ed organo della Fon­da­zione Lelio Basso, che in oltre trent’anni di sto­ria si è occu­pato dei disa­stri indu­striali e ambien­tali di Bho­pal e di Cher­no­byl, dei diritti dei popoli in Colom­bia, Mes­sico, Bra­sile, Nica­ra­gua, si è spo­stato nel cuore del Vec­chio Con­ti­nente. I giu­dici del Tpp sono sulle tracce di siste­ma­ti­che vio­la­zioni dei diritti fondamentali.

In Europa si sta vivendo «una situa­zione neo­co­lo­niale» in cui le grandi opere ven­gono decise sulla testa dei cit­ta­dini, sostiene Livio Pepino, ex magi­strato e pre­si­dente del Con­tros­ser­va­to­rio Val­susa, che un anno fa aveva pre­sen­tato un espo­sto al Tpp sul caso Tav, accolto a set­tem­bre. E che nel pro­cesso, aper­tosi ieri a Torino, rap­pre­senta l’accusa. «Un tempo, in epoca romana, era pos­si­bile per un cit­ta­dino sin­golo (e a mag­gior ragione per un gruppo) – ha spie­gato Pepino – agire in giu­di­zio con­tro il governo a tutela dell’interesse gene­rale. E ciò è oggi pre­vi­sto nelle Costi­tu­zioni del Bra­sile, della Boli­via, della Colom­bia. Non in Ita­lia, dove una giu­ri­spru­denza ammi­ni­stra­tiva for­ma­li­sta e ana­cro­ni­stica con­ti­nua a rite­nere non legit­ti­mato ad agire il cit­ta­dino che non abbia un inte­resse per­so­nale di carat­tere eco­no­mico. Non in Europa, nono­stante le caute aper­ture della Corte dei diritti dell’uomo. Non nello sce­na­rio degli orga­ni­smi inter­na­zio­nali, posto che la Corte penale inter­na­zio­nale ha addi­rit­tura escluso dalla sua com­pe­tenza i cri­mini eco­no­mici. Per que­sto, ci siamo rivolti al Tpp».

Il giudizio del Tribunale sarà limitato ai profili riguardanti la democrazia e la partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano.

Il pro­cesso si svolge sulla fal­sa­riga di quello penale, ver­ranno ascol­tati testi­moni e rac­colti docu­menti, invi­tate tutte le parti in causa (per il caso Tav: governo, Regione Pie­monte, le società costrut­trici), i mem­bri della giu­ria, carat­te­riz­zati da plu­ra­li­smo ideo­lo­gico, andranno nei vari luo­ghi d’Europa per rac­co­gliere memo­rie e mate­riale. A otto­bre ci sarà a Torino l’udienza con­clu­siva, che durerà una set­ti­mana e si svol­gerà alla Fab­brica delle E.

Il ver­detto non avrà valore giu­ri­dico, ma sicu­ra­mente poli­tico. La sen­tenza verrà inviata alle prin­ci­pali isti­tu­zioni inter­na­zio­nali; nel pas­sato, molte sono state discusse dalla Com­mis­sione per i diritti umani dell’Onu a Ginevra.

Pepino ha evi­den­ziato il carat­tere auto­ri­ta­rio della deci­sione di costruire l’opera in Val di Susa, avve­nuta sca­val­cando popo­la­zione e isti­tu­zioni locali. «Esclu­sione mani­fe­stata in tre modi: la man­canza di pro­ce­dure di infor­ma­zione, con­sul­ta­zione e con­fronto; la dif­fu­sione di dati inve­ri­tieri e privi di base scien­ti­fica; la man­cata rispo­sta a richie­ste ed espo­sti delle isti­tu­zioni e di nume­rosi tec­nici, con il ten­ta­tivo paral­lelo di tra­sfor­mare il pro­blema Tav in que­stione di ordine pubblico».

San­dro Plano, sin­daco di Susa e seconda voce dell’accusa, ha rac­con­tato di come negli anni, dai diversi governi nazio­nali e regio­nali sia stata rispet­tata solo una demo­cra­zia for­male e mai sostan­ziale: «Ci rice­ve­vano ma non ci ascol­ta­vano, come se tutto fosse già deciso, anche nella farse dell’Osservatorio sull’opera. Noi con­ti­nuiamo a pro­muo­vere un modello di svi­luppo diverso che, invece di desti­nare 52 milioni di euro alla sta­zione inter­na­zio­nale di Susa (due in più di Porta Susa a Torino, che serve un milione di per­sone rispetto ai 7 mila poten­ziali di quella in Valle) ristrut­turi le scuole, gli ospe­dali e risolva i pro­blemi di dis­se­sto ideologico».

Gene­viève Coiffard-Grosdoy del movi­mento No aero­porto Notre Dame des Lan­des, prima voce non val­su­sina delle tante comu­nità che ver­ranno ascol­tate durante la ses­sione (tra le altre, Lon­dra, Bir­min­gham, Man­che­ster, Rosia Mon­tana e Corna in Roma­nia, Vene­zia, Firenze, Niscemi), ha sot­to­li­neato come il modello di esclu­sione dalle deci­sioni e repres­sione giu­di­zia­ria sia iden­tico anche Oltralpe.

Al tavolo, pre­sie­duto da Per­fecto Andrés Iba­nez, magi­strato del Tri­bu­nal supremo spa­gnolo e diret­tore della rivi­sta Jue­ces para la Demo­cra­cia, sono inter­ve­nuti Gianni Tognoni, segre­ta­rio gene­rale e memo­ria sto­rica del Tpp, Ales­san­dra Algo­stino, docente di diritto costi­tu­zio­nale all’Università di Torino, e due com­po­nenti della giu­ria: Antoni Pigrau Solé, docente di diritto pub­blico a Tar­ra­gona e Roberto Schiat­ta­rella, pro­fes­sore di poli­tica eco­no­mica a Cas­sino, che ha affer­mato come nelle inten­zioni del Tri­bu­nale ci sia quella di riav­vi­ci­nare le nar­ra­zioni ai fatti, distanza che ha fran­tu­mato il rap­porto tra cit­ta­dini e poli­tica, soprat­tutto quando quest’ultima si appella a richie­ste inde­ro­ga­bili (ce lo chiede l’Europa o il mercato).

Così, era anche per la defunta Lisbona-Kiev, il cor­ri­doio 5, che i pro­po­nenti della Torino-Lione usa­vano come pie­tra tom­bale quando dove­vano rispon­dere alle cri­ti­che. Per la cro­naca, Por­to­gallo e Ucraina non sono più inte­res­sati alla fan­to­ma­tica opera.

L’aula ha ascol­tato per oltre tre ore gli inter­venti, ha applau­dito le testi­mo­nianze dall’estero di Erne­sto Car­de­nal, poeta nica­ra­guense che si batte con­tro il canale inte­ro­cea­nico, Raul Vera, vescovo ribelle mes­si­cano di Sal­tillo, o Fla­vio Valente, segre­ta­rio gene­rale del Fian, Ong per il diritto al cibo.

La lotta per i diritti è glo­bale, il pro­cesso alle grandi opere continua.

LE TESTI­MO­NIANZE

Da Torino a Bus­so­leno. Nel pome­rig­gio di ieri una dele­ga­zione dei giu­dici del Tri­bu­nale Per­ma­nente dei Popoli ha incon­trato la popo­la­zione val­su­sina al tea­tro don Bunino. È stata l’occasione per rac­co­gliere ulte­riori testimonianze.

Sul palco si sono suc­ce­duti nume­rosi inter­venti, come quelli di Alberto Perino e di Bar­bara Deber­nardi, sin­daco di Con­dove dal 2004 al 2009, quando la pro­te­sta No Tav saliva agli onori delle cro­na­che nazionali.

L’ex primo cit­ta­dino si è sof­fer­mata sui fatti del 2005, durante la prima con­trap­po­si­zione tra cit­ta­dini e Stato, ma soprat­tutto tra Stato e Stato. «Il 31 otto­bre 2005 quando con la fascia tri­co­lore mi pre­sen­tai alle forze dell’ordine per assi­stere all’esproprio del ter­reno di un cit­ta­dino di Con­dove, la poli­zia mi disse “Voi con quella fascia oggi non con­tate niente”. In que­sti anni lo Stato non solo non ci ha ascol­tati ma si è com­por­tato in modo arro­gante, come quando l’architetto Virano che pre­siede l’Osservatorio riunì alcuni sin­daci a Pra­ca­ti­nat per siglare un accordo, che nella realtà non ci fu mai. Un pezzo di carta che viene ancora sban­die­rato come prova di una con­sul­ta­zione inesistente».

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