Spazi sociali. Sgomberato palazzo Boyl, che era diventato la casa del Municipio dei beni comuni dopo l'occupazione che lo aveva strappato a sei anni di abbandono per i lavori mai iniziati di una immobiliare poi fallita, e debitrice del Comune per 220mila euro. Tace palazzo Gambacorti, sempre più avvolto nell'ossessione securitaria.
">L’odissea del Rebeldìa
Spazi sociali. Sgomberato palazzo Boyl, che era diventato la casa del Municipio dei beni comuni dopo l’occupazione che lo aveva strappato a sei anni di abbandono per i lavori mai iniziati di una immobiliare poi fallita, e debitrice del Comune per 220mila euro. Tace palazzo Gambacorti, sempre più avvolto nell’ossessione securitaria.
Spazi sociali. Sgomberato palazzo Boyl, che era diventato la casa del Municipio dei beni comuni dopo l’occupazione che lo aveva strappato a sei anni di abbandono per i lavori mai iniziati di una immobiliare poi fallita, e debitrice del Comune per 220mila euro. Tace palazzo Gambacorti, sempre più avvolto nell’ossessione securitaria.
Ritorno al degrado per Palazzo Boyl, l’edificio cinquecentesco affacciato sul lungarno che dal 21 novembre scorso ospitava il Municipio dei beni comuni, dopo l’occupazione che lo aveva strappato a sei anni di abbandono e impalcature per lavori mai iniziati. Dopo le avvisaglie dei giorni scorsi, che avevano visto tornare alla carica il curatore fallimentare di quella Tognozzi spa al vaglio della magistratura fiorentina per l’accusa di tangenti all’Agenzia delle Entrate, e su cui pende la calendarizzazione di varie aste fallimentari, nella mattinata di ieri la polizia ha nuovamente chiuso l’accesso al palazzo. Un blitz contrassegnato dalla consueta “orologeria vacanziera”, in una città svuotata dal freddo e dalle festività, mettendo la parola fine a un’esperienza che aveva restituito un pezzo di storia ai cittadini pisani, che in questo mese sono passati numerosi a solidarizzare e ammirare le stanze affrescate del palazzo, ora destinato a un’asta che andrà quasi certamente deserta.
“Un immobile storico ritorna schiavo della selvaggia corrosione del tempo e dell’incuria – denunciano gli attivisti del Municipio — dopo che la società immobiliare che ne deteneva la proprietà è fallita. Nessuno potrà più godere della vista degli affreschi, delle sale, di un bene nascosto per anni alla vista della città da un ponteggio fantasma, il cui abuso non è costato niente ai soliti potenti di turno”. All’opposto, recuperare e restituire alla cittadinanza migliaia di metri quadrati chiusi da anni sembra essere il reato più grave e più perseguito a Pisa. “La ragione è semplice – tira le somme il Municipio — il partito della speculazione vuole governare la città senza sconti”.
In questo contesto, l’amministrazione comunale si segnala ancora una volta per la sua assenza. La commissione cultura e il sindaco, più volte invitati a visitare il bene “liberato”, non si sono mai presentati. Tutto questo mentre l’ingente debito (220mila euro) che la proprietà ha con il Comune, per i sei anni di occupazione di suolo pubblico del cantiere mai iniziato, rimane insoluto. Continua intanto la ricerca di una sede per lo storico progetto sociale pisano, cacciato negli ultimi anni sia dal Rebeldìa che dall’ex fabbrica dismessa della multinazionale J-Color, passando dallo sgombero del Distretto 42 nell’aprile scorso.
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