ROMA . Non avevano un manico di piccone in mano, non hanno lanciato oggetti contro la polizia, non hanno fatto resistenza a pubblico ufficiale. Assolti «perché il fatto non sussiste».
">

Scontri di Roma, assolti quattro indignati. E il piccone sequestrato diventa un giallo


ROMA . Non avevano un manico di piccone in mano, non hanno lanciato oggetti contro la polizia, non hanno fatto resistenza a pubblico ufficiale. Assolti «perché il fatto non sussiste».


ROMA . Non avevano un manico di piccone in mano, non hanno lanciato oggetti contro la polizia, non hanno fatto resistenza a pubblico ufficiale. Assolti «perché il fatto non sussiste».
Una “formula piena” che scagiona quattro trentenni, due fratelli, Alessandro e Giovanni Venuto, e le loro due fidanzate Alessandra Orchi e Alessia Catarinozzi che il pomeriggio del 15 ottobre 2011, nella coda degli scontri che devastarono Roma durante la manifestazione degli “Indignati”, si trovavano in via Carlo Botta, poco lontano da piazza San Giovanni.
Avevano partecipato al corteo ma furono scambiati per black bloc e arrestati tutti e quattro: i ragazzi furono condotti a Regina Coeli dove rimasero per 20 giorni, le ragazze, invece ai domiciliari. Misure cautelari che durarono per 3 mesi, prima dell’inizio del processo nel marzo del 2012. Oggi, due anni e mezzo dopo, il tribunale di Roma non solo respinge la richiesta dei pm di condannarli a un anno e tre mesi, scagionando i quattro giovani, ma soprattutto rinvia alla procura gli atti del processo chiedendo di indagare proprio su quel verbale che 3 anni fa li aveva accusati di resistenza e lancio di oggetti.
Secondo i giudici, infatti, è necessaria un’appendice di inchiesta sia sul sequestro di quel manico di piccone di 80 centimetri (che sull’estremità superiore aveva una banda nera) sia su quel documento firmato da almeno 7 agenti di polizia. Nei guai, adesso potrebbero finire proprio loro che, durante l’udienza, hanno testimoniato confermando invece tutte le accuse sottoscritte in quel verbale. «Quella mazza era in mano a uno degli imputati che l’ha lasciata cadere per terra appena ci ha visti», ha raccontato un agente in tribunale. Circostanza negata dai ragazzi e, in particolare, da Giovanni Venuto (guardiaparco di mestiere, appassionato di fotografia), accusato di brandire quella mazza.
Il giovane, difeso insieme al fratello e alle rispettive fidanzate dagli avvocati Caterina Suppa e Renato Archidiacono, si era sempre rifiutato di firmare quel verbale di sequestro. Tra l’altro, a sostegno della difesa sono state mostrate in tribunale anche le riprese di un video registrato da un privato cittadino dalla finestra di un palazzo, all’angolo tra via Carlo Botta e via Angelo Poliziano, secondo cui quel bastone (riconoscibile proprio perché contrassegnato da una banda nera) era ben lontano dai quattro giovani, appoggiato a una cabina telefonica. Dall’audio di quelle immagini si sentiva una signora al momento degli arresti urlare alla polizia: «Non sono stati loro, non hanno fatto nulla». Ora a confermarlo c’è anche un giudice

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password