La nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul «caso Moro» che impegna 60 deputati e senatori è l’ultimo capitolo dell’uso strumentale del Parlamento nel momento in cui occorrerebbe convogliare tutte le energie politiche sui problemi del Paese.
La nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul «caso Moro» che impegna 60 deputati e senatori è l’ultimo capitolo dell’uso strumentale del Parlamento nel momento in cui occorrerebbe convogliare tutte le energie politiche sui problemi del Paese. Da quel tragico 16 marzo 1978 si sono svolti cinque processi Moro che hanno individuato gran parte degli assassini, una commissione d’inchiesta specifica e cinque commissioni su «stragi e terrorismo» che, dopo anni di lavoro, hanno prodotto un nulla di fatto.
È allora lecito chiedersi perché mai continuare la ginnastica inchiestistica utile solo a soddisfare la folta schiera dei complottomani appassionati di quelle rivelazioni fasulle che hanno inquinato l’aria per un terzo di secolo. L’anno scorso, perfino un magistrato ha preso sul serio un imbroglione finto «gladiatore» che ha dato la sua versione dei fatti, rivelatasi pura fantasia. Ora, molti degli interrogativi posti alla base dell’inchiesta parlamentare sono gli stessi proposti dagli esibizionisti in cerca di pubblicità, oppure già risolti in sede giudiziaria. A sostegno della nuova inchiesta si invoca anche la recente desecretazione dei documenti coperti da segreto di Stato, ignorando, però, che nei processi per terrorismo e strage, come quelli Moro, per legge non è stato mai opposto alcun segreto. Pare proprio che i parlamentari favorevoli all’inchiesta — Pd, Fi, Gal, Sel, Popolari e Lega Nord — siano rimasti impigliati in quel conformismo fondato sui cosiddetti «misteri d’Italia» che a lungo ha condizionato la nostra politica.
Temiamo che anche questa inchiesta possa essere utilizzata per sollevare polveroni. Dopo tanto tempo, sarebbe perciò opportuno lasciare agli storici il compito di inquadrare la tragedia Moro nella giusta prospettiva. Spesso le verità storiche in tutte le loro sfumature risultano più attendibili delle verità giudiziarie e delle inchieste parlamentari.
Massimo Teodori
È allora lecito chiedersi perché mai continuare la ginnastica inchiestistica utile solo a soddisfare la folta schiera dei complottomani appassionati di quelle rivelazioni fasulle che hanno inquinato l’aria per un terzo di secolo. L’anno scorso, perfino un magistrato ha preso sul serio un imbroglione finto «gladiatore» che ha dato la sua versione dei fatti, rivelatasi pura fantasia. Ora, molti degli interrogativi posti alla base dell’inchiesta parlamentare sono gli stessi proposti dagli esibizionisti in cerca di pubblicità, oppure già risolti in sede giudiziaria. A sostegno della nuova inchiesta si invoca anche la recente desecretazione dei documenti coperti da segreto di Stato, ignorando, però, che nei processi per terrorismo e strage, come quelli Moro, per legge non è stato mai opposto alcun segreto. Pare proprio che i parlamentari favorevoli all’inchiesta — Pd, Fi, Gal, Sel, Popolari e Lega Nord — siano rimasti impigliati in quel conformismo fondato sui cosiddetti «misteri d’Italia» che a lungo ha condizionato la nostra politica.
Temiamo che anche questa inchiesta possa essere utilizzata per sollevare polveroni. Dopo tanto tempo, sarebbe perciò opportuno lasciare agli storici il compito di inquadrare la tragedia Moro nella giusta prospettiva. Spesso le verità storiche in tutte le loro sfumature risultano più attendibili delle verità giudiziarie e delle inchieste parlamentari.
Massimo Teodori
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