Cervelli sconnessi. La resistibile ascesa del net-liberismo e il dilagare della stupidità digitale (Castelvecchi 2014), l’ultima fatica di Giuliano Santoro, in questi giorni alla seconda ristampa, è un libro sul crowdsourcing, il comune, il cervello. Prima di spiegare il perché, una piccola premessa.
Cervelli sconnessi. La resistibile ascesa del net-liberismo e il dilagare della stupidità digitale (Castelvecchi 2014), l’ultima fatica di Giuliano Santoro, in questi giorni alla seconda ristampa, è un libro sul crowdsourcing, il comune, il cervello. Prima di spiegare il perché, una piccola premessa.
Le pagine di Santoro sono sempre chiare, combattive, appassionate. Il giornalismo di inchiesta si mescola con la critica militante, lo sguardo è situato, di parte, ma l’orizzonte è ampio, i riferimenti molteplici. Una cosa è certa: Santoro non ha mai separato le tecnologie della comunicazione, la Rete, dalla pratica politica, per questo può sbarazzarsi della dicotomia tra «apocalittici» e «integrati». Senza concedere più nulla all’incanto libertario,Cervelli sconnessi non smette di pensare il Web come campo di battaglia. Chi negli anni Novanta, infatti, ha reso la Rete alibi privilegiato per farla finita con la lotta di classe, capita oggi che abbia bisogno di riscoprire l’ortodossia: conseguenze morali dell’austerity. Non è il caso di Santoro, che critica l’espropriazione dei commons digitali perché quei commons, dentro e fuori la Rete, non ha smesso di costruire.
Con il Web 2.0, ci indica Cervelli sconnessi, das Kapital radicalizza l’assalto alla «folla». La valorizzazione della cooperazione sociale extra-lavorativa, infatti, raggiunge livelli mai toccati prima. Di più: crowdsourcing e rinnovata (inedita) concentrazione monopolistica procedono di pari passo. I social network, chiarisce con dovizia di esempi Santoro, sono una inesauribile fonte di monitoraggio dei gusti, degli stili di vita, delle ossessioni della folla. Sondaggio permanente che orienta e organizza le campagne pubblicitarie così come i ritmi incessanti dell’innovazione di prodotto. Ancora, e l’esempio del giornalismo aiuta a capire, la Rete lavora gratuitamente, esibisce identità, relazioni, propone contenuti. Al capitale, così come accade sul terreno della valorizzazione finanziaria, basta procedere come un’aquila capace di catturare a valle quanto la folla, in modo inevitabilmente caotico, produce. Ma sappiamo che non è il caos a spaventare la contemporanea accumulazione originaria, anzi.
Eppure la Rete è anche e soprattutto comune: la definizione puntuale dei processi di espropriazione non dissuade mai Santoro dal prendere sul serio questa affermazione. Comune immaginativo e linguistico, sempre già fatto e sempre da fare, sul quale si impianta la produzione intelligente, la cooperazione alternativa, la creatività. Il crinale è sottile, ed è giusto, come fa Cervelli sconnessi, insistere criticamente sul primato ossessivo e di superficie dell’immagine sull’argomentazione. Ma non sta a noi difendere l’argomentazione razionale contro la barbarie tecno-comunicativa, semmai occorre esemplificare una nuova concatenazione virtuosa tra segni e immagini, tra pratiche di conflitto e comunicazione.
E questa interrogazione percorre per intero le pagine finali del volume di Santoro, in particolare quelle dedicate al discorso tecno-politico elaborato dai movimenti spagnoli al seguito delle acampadas e delle mareas. Il comune della Rete va riconquistato, perché catturato ovunque dal capitale e colonizzato sempre più dalla logica e dal linguaggio televisivo, solo dalla strada e dalle sue lotte può partire questa impresa ambiziosa. Va da sé che la strada e i corpi che la animano sono protesici, innervati dalla comunicazione. Va da sé, altrettanto, che al narcisismo individualista, esaltato dalla “rivoluzione” di Facebook, se di tecno-politica si vuol parlare, deve sostituirsi la potenza della cooperazione, il carattere radicalmente comune/connesso della singolarità.
Il cervello del Web 2.0 non stacca mai, è assediato dalle immagini e dai segni, è sovraccarico/sovreccitato dunque disattento. Cosa sta cambiando nel cervello di homo sapiens? È stato Franco Berardi Bifo, tra i primi, a parlare di «inflazione semiotica» e a qualificare la mutazione psichica imposta dalla Rete. Di più, di questa mutazione Bifo ha saputo cogliere l’incidenza passionale: ansia, panico, depressione, con conseguente trionfo delle sostanze psico-attive, legali e illegali. Sintonico con questa lettura, Santoro ci segnala che il cervello contemporaneo, sempre connesso, è impaziente e bulimico, fatica a leggere libri, con frequenza perde la memoria, non necessariamente è più democratico, anzi, mimetismo e logica del gregge hanno spesso la meglio.
Eppure con la Rete, anche quella di Twitter, si materializza il «cervello sociale» presagito da Marx nei Grundrisse, un cervello, cioè, che non coincide più con la coscienza o col soggetto. Come questo cervello deterritorializzato possa resistere alla cattura capitalistica e alla stupidità, all’ipertrofia comunicativa e agli automatismi, e diventare quell’intelletto comune capace di rendere realistica una politica della molteplicità, è la sfida che il libro di Santoro ci propone. La stessa sfida che i movimenti non possono non fare propria.
Giuliano Santoro
Cervelli sconnessi
La resistibile ascesa del net-liberismo e il dilagare della stupidità digitale
Castelvecchi (2014), pp.140
€ 16,50
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