Lettera aperta  all'Associazione Nessun uomo è un’isola, 
Prof. Felice Tagliente 

Gentile Professor Tagliente, durante una mia recente visita al carcere Le Nuove, dove sono stata a lungo detenuta negli anni ’80, ho purtroppo vissuto un episodio che reputo, insieme, sconcertante, amaro e grave. Nel corso della visita, la guida ha fatto cenno all’incendio avvenuto nel carcere Vallette nel 1989, incendio che ha distrutto la sezione femminile – tanto che fummo poi  tutte trasferite alle Nuove, che avevamo lasciato pochi mesi prima; incendio che ha ucciso undici donne, nove detenute e due agenti. Ebbene, è stata fatta menzione delle due agenti morte, nel tentativo di aprire le celle, mentre le detenute sono state dimenticate, anzi, peggio, è stato affermato esplicitamente che “nessuna ha avuto serie conseguenze”.

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Il rogo del carcere di Torino: 11 donne morte, 9 dimenticate


Lettera aperta  all’Associazione Nessun uomo è un’isola, 
Prof. Felice Tagliente 

Gentile Professor Tagliente, durante una mia recente visita al carcere Le Nuove, dove sono stata a lungo detenuta negli anni ’80, ho purtroppo vissuto un episodio che reputo, insieme, sconcertante, amaro e grave. Nel corso della visita, la guida ha fatto cenno all’incendio avvenuto nel carcere Vallette nel 1989, incendio che ha distrutto la sezione femminile – tanto che fummo poi  tutte trasferite alle Nuove, che avevamo lasciato pochi mesi prima; incendio che ha ucciso undici donne, nove detenute e due agenti. Ebbene, è stata fatta menzione delle due agenti morte, nel tentativo di aprire le celle, mentre le detenute sono state dimenticate, anzi, peggio, è stato affermato esplicitamente che “nessuna ha avuto serie conseguenze”.


Lettera aperta  all’Associazione Nessun uomo è un’isola, 
Prof. Felice Tagliente 

Gentile Professor Tagliente, durante una mia recente visita al carcere Le Nuove, dove sono stata a lungo detenuta negli anni ’80, ho purtroppo vissuto un episodio che reputo, insieme, sconcertante, amaro e grave. Nel corso della visita, la guida ha fatto cenno all’incendio avvenuto nel carcere Vallette nel 1989, incendio che ha distrutto la sezione femminile – tanto che fummo poi  tutte trasferite alle Nuove, che avevamo lasciato pochi mesi prima; incendio che ha ucciso undici donne, nove detenute e due agenti. Ebbene, è stata fatta menzione delle due agenti morte, nel tentativo di aprire le celle, mentre le detenute sono state dimenticate, anzi, peggio, è stato affermato esplicitamente che “nessuna ha avuto serie conseguenze”.

Nove detenute  morte! Quella che credo, senza tema di essere smentita, si possa definire la più grande tragedia del carcere  dopo la riforma è stata così cancellata, negata. Il mio sconcerto è stato grande:  ho interrotto la guida e raccontato la verità, mi è stato chiesto se ero “davvero sicura” di quello che dicevo! Trovo davvero grave che una associazione che cura la memoria e fa cultura con un approccio educativo e storico possa non essere documentata attorno a un fatto così clamoroso, doloroso e emblematico dei mille limiti che il rispetto e la sicurezza delle persone detenute  allora e ancora  oggi scontano; un episodio che ha riempito le pagine dei giornali per settimane, dato vita a un processo, attivato molte e molti, in città. Io sono viva per caso, perché quella notte ero in permesso premio, le donne che sono morte vivevano a fianco, di fronte a me, in quelle celle che si sono saturate di fumo e calore insopportabile, in quella sezione dove i pompieri sono arrivati dopo 45 minuti, e dove due agenti sono morte a causa, anche loro, dell’incuria, della inefficienza, del disinteresse. Sono stata tra coloro che, subito dopo l’incendio, ha fondato l’Associazione 3 giugno, con il sostegno prezioso dell’avvocata Bianca Guidetti Serra, tra coloro  che, all’interno, hanno aiutato e sostenuto le donne superstiti, raccolto i loro racconti, e all’esterno  spinto affinché si facesse un processo giusto, e lavorato per tenere viva l’attenzione pubblica su un fatto così grave. Tutto questo materiale è disponibile, facilmente reperibile non solo da una associazione di ricercatori ma da qualsiasi cittadino. Ho provato anche amarezza: dimenticare le une e ricordare solo le altre è un torto e una ingiustizia. Nel 1989 e negli anni seguenti abbiamo ricordato le undici donne morte, insieme, detenute e agenti, perché uccise dalla stessa indifferenza; la storia da voi proposta le separa, e fa delle prime dei fantasmi dimenticati. È una offesa, un dolore rinnovato, un torto. Come sapete bene, ricordare è onorare, dimenticare è ferire, di nuovo. E, insieme, è un errore, una carenza nella verità storica.

Il 3 giugno prossimo si celebra il venticinquesimo anniversario di quelle morti. Chi di noi c’era, in quei giorni, vuole ricordare con affetto – e sì, ancora  con  rabbia per una tragedia annunciata dall’incuria – le ragazze e le donne che sono morte. A lei e  alle guide dell’Associazione chiedo di ripristinare con chiarezza la verità dei fatti. A questo scopo vi segnalo due link alla documentazione di base, certa che, essendo ricercatori, non vi sarà difficile integrarle al meglio: si tratta delle testimonianze  da noi raccolte subito dopo l’incendio e della sentenza di primo grado che assolve la dirigenza del carcere da ogni responsabilità. La nostra battaglia persa. Che non sia persa almeno la battaglia della memoria.

sentenza: http://digilander.iol.it/polvere3/doc/sentenza.htm

racconti http://digilander.iol.it/polvere3/doc/RogoVallette.htm

Qualora foste interessati ad approfondire anche attraverso testimonianze dirette, io e altre mie compagne siamo disponibili.

Mi permetta, in chiusura, una osservazione, che nasce non solo dalla mia esperienza diretta di allora, ma anche dal mio impegno di oggi, come attivista dei diritti umani e come operatrice sociale  e culturale: il vostro lavoro è prezioso, custodire e soprattutto rendere accessibile la memoria della resistenza alle generazioni più giovani, in un tempo in cui i protagonisti si fanno ormai rari,  è importante. E tuttavia devo dire che dal giro che oggi proponete alle Nuove se ne esce con una mancanza: non ci sono i detenuti e le detenute. Se non nell’emozione che al pubblico resta nell’immaginare cosa potrebbe voler dire stare chiusi anni in quegli spazi orribili. Ma, mi permetta, è davvero troppo poco rispetto alla necessità – a mio avviso urgente – di promuovere nella popolazione tutta una cultura del diritto e dei diritti, della non discriminazione, una cultura  costituzionale contro il sentimento di vendetta – se non purtroppo spesso di forca – contro chi ha commesso un reato.  Il carcere è fatto dalla guardie e dai ladri, e qui i ladri non ci sono. Ci sono le e gli innocenti e gli eroi e le eroine, è c’è il personale. Dove sono le decine di migliaia che hanno affollato queste celle? Dove sono quelle e quelli colpevoli, e quelli e quelle  gettati qui dentro, come si fa con una “discarica sociale”(sono parole del presidente Napolitano)? E dove sono quelle e quelli che, colpevoli, hanno lottato per sopravvivere, per vivere meglio, per il rispetto e  per cambiare leggi ingiuste? Dove sono le loro voci?

Sono le mie domande.

Ma ciò che conta ora è il 3 giugno prossimo. Fate con i visitatori una operazione di  verità. Grazie

Cordiali saluti

Susanna Ronconi

Torino, 31 maggio 2014

susanna.ronconi1@virgilio.it   339 4155985

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