Trentasei anni dopo è ancora una delle vicende più oscure e complicate della recente storia italiana. Sono tuttora molti i misteri e le domande legate all’affaire Aldo Moro e per questo, proprio oggi, prende il via l’iter legislativo per la costituzione di una nuova Commissione parlamentare d’inchiesta per far finalmente luce sul rapimento e l’uccisione dello statista Dc, su iniziativa degli onorevoli Pd Gero Grassi, Giuseppe Fioroni e Roberto Speranza.
Trentasei anni dopo è ancora una delle vicende più oscure e complicate della recente storia italiana. Sono tuttora molti i misteri e le domande legate all’affaire Aldo Moro e per questo, proprio oggi, prende il via l’iter legislativo per la costituzione di una nuova Commissione parlamentare d’inchiesta per far finalmente luce sul rapimento e l’uccisione dello statista Dc, su iniziativa degli onorevoli Pd Gero Grassi, Giuseppe Fioroni e Roberto Speranza.
Un impegno per la trasparenza che è stato i connotati più importanti nell’opera della prima Commissione Stragi, presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino fino alla conclusione dei suoi lavori nel 2001.
«Ho parlato con Gero Grassi, al quale ho detto con sincerità che non mi faccio molte illusioni. Avendone fatto parte a lungo, confesso che non credo più molto nello strumento della Commissione, vista l’esperienza di quella che ho guidato. Il cui ottimo lavoro, lo ricordo, è stato poi vanificato e frenato da apriorismi e pregiudizi politici. In questo Paese dove il passato non passa mai, mi auguro e auspico più serenità e un atteggiamento più da storici, per evitare che le divisioni impediscano di mettersi d’accordo sul lavoro fatto. O che addirittura, come nel caso Mitrokhin o Telekom Serbia, la Commissione nasca con per una finalità ed un uso politico, nel caso specifico quello di screditare il più possibile il Partito comunista ».
Come si dice in questi casi, dottor Pellegrino, dove eravamo rimasti col caso Moro?
«Un ottimo punto di partenza sono le carte di Moro, tra lettere e materiali: il lavoro fatto potrebbe permettere di fare importanti passi avanti nella ricostruzione della dinamica del sequestro e dei giorni di prigionia, anche sotto al profilo del rapporto tra l’ostaggio e i suoi carcerieri. Ma la svolta nell’inchiesta sarebbe un’altra».
Quale?
«Una revisione critica dell’impianto giudiziario dell’intera vicenda Moro, caratterizzata dalla segmentazione e dalla parzialità di indagine. È sempre mancata una visione unitaria. Questo, naturalmente, non per la cattiva volontà degli uomini, ma per la logica delle competenze territoriali. Quelle, per esempio, che hanno impedito alle procure di Milano, Firenze e Roma, ognuna per propri motivi, di sviluppare un unico disegno investigativo con un unico filo conduttore. Anzi, a questo proposito sottolineo che proprio quando la nostra Commissione aveva trovato questo bandolo della matassa, dando una prospettiva unitaria al caso, i magistrati di Roma hanno chiuso le indagini, interrompendo il discorso».
Tra gli aspetti mai chiariti c’è sicuramente la figura del «grande vecchio» nell’orbita delle Br.
«Ricordo le parole di Scalfaro, “abbiamo messo in carcere i colonnelli, ma forse i generali sono ancora liberi”.
Ci chiedevamo se davvero personaggi come Morucci e Faranda potessero tenere in scacco lo Stato, ma tra le Br non mancavano personaggi di levatura intellettuale adeguata, mi riferisco per esempio ad Enrico Fenzi, nel vertice dell’organizzazione, uno dei maggiori studiosi di Dante in Italia. Casomai, più che un grande vecchio, bisognerebbe cercare di capire il vero ruolo di questi personaggi non di primo piano». Poi c’è il tema delle contiguità, vere e presunte.
«Credo che le impunità e l’opacità che hanno accompagnato questa vicenda possa rientrare in una logica di contrasto al fenomeno Br e alla sua neutralizzazione. Il metodo contrario è molto nobile, ma scarsamente realizzabile in una situazione del genere. Restano molto illuminanti le parole del generale Dalla Chiesa a Rognoni: abbiamo fatto pochi filtraggi, avvalendoci soprattutto di attività di penetrazione negli ambienti contigui alle Br, la grande impresa, l’università e il sindacato».
Cosa pensa ad oggi della “doppia trattativa”, per la liberazione di Moro e per il salvataggio delle sue carte?
«Credo ancora che il successo della seconda abbia potuto causare il fallimento della prima. È certo che le Br hanno mentito e dato una versione non verosimile sugli ultimi giorni di Moro, non è vero per esempio che gli avevano comunicato l’intenzione di ucciderlo. Nel suo memoriale lui aveva sancito la sua morte politica, con l’uscita di scena e lo screditamento del sistema, in primis di Andreotti e Berlinguer, che era funzionale alle Br ma non certo al sistema stesso. È talmente vero che è noto come Moro libero sarebbe stato un problema nell’immediato, tant’è che Cossiga aveva pronto il piano Viktor per farlo passare dalla prigionia ad una clinica, senza farlo nemmeno parlare coi magistrati, finché non ci fossero le condizioni politiche per il suo ritorno sulla scena. Malo stesso Cossiga ha detto più volte “lo abbiamo ucciso noi”, nel senso che la sua liberazione sarebbe stata più costosa della sua morte».
Che domande si dovrebbe porre la nuova Commissione? «Per esempio, le condizioni della sua prigionia che non sono state certo anguste come poteva sembrare. Lo stato del suo corpo parla: l’autopsia ha escluso che Moro possa essere stato tenuto in Via Montenevoso così come si voleva far credere. Oppure i segreti di cui era a conoscenza».
Cioè?
«Si è cercato di far credere che Moro non fosse a conoscenza di nessuna informazione chiave, ma era solo controinformazione. In realtà, di certo era al corrente di informazioni importanti sulla sicurezza dell’Occidente e tutte le centrali di potere, a Ovest come ad Est del mondo, avevano interessate a carpire notizie. Ricordo quello che mi disse in via confidenziale l’ammiraglio Martini, cioè che durante la prigionia di Moro era sparita dalla cassaforte del ministero della Difesa una delle due copie del piano “Stay Behind”, l’altra era nell’ambasciata italiana a Londra. Il documento è ricomparso altrettanto misteriosamente qualche giorno dopo. Non è certo da escludere che possa essere stato offerto alle Br come prezzo per liberare Moro».
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