Federico Aldrovandi

Sabato 15 a Ferrara una manifestazione e una raccolta di firme per chiedere che gli agenti condannati per l'omicidio del giovane e rientrati in servizio non vengano più impegnati in mansioni di ordine pubblico. Manconi: "Un atto di elementare prudenza per evitare che possano ripetere l'orrore già compiuto"
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#vialadivisa, la petizione per fermare gli agenti dell’omicidio Aldrovandi

Federico Aldrovandi

Sabato 15 a Ferrara una manifestazione e una raccolta di firme per chiedere che gli agenti condannati per l’omicidio del giovane e rientrati in servizio non vengano più impegnati in mansioni di ordine pubblico. Manconi: “Un atto di elementare prudenza per evitare che possano ripetere l’orrore già compiuto”

Federico Aldrovandi

Sabato 15 a Ferrara una manifestazione e una raccolta di firme per chiedere che gli agenti condannati per l’omicidio del giovane e rientrati in servizio non vengano più impegnati in mansioni di ordine pubblico. Manconi: “Un atto di elementare prudenza per evitare che possano ripetere l’orrore già compiuto”
Federico Aldrovandi Via Ippodromo a Ferrara è diventata un luogo-simbolo: soprattutto per la famiglia Aldrovandi e la sua battaglia per la verità. In quella via il 25 settembre del 2005 Federico Aldrovandi è stato ucciso dalle percosse di quattro agenti di polizia.

A diciotto anni il ragazzo è diventato un’altra “vittima delle botte di Stato”. Dopo più di 8 anni, sabato 15 febbraio, si andrà a Ferrara per chiedere che gli agenti che hanno ucciso non portino più la divisa.

I quattro agenti hanno scontato sei mesi di pena (3 anni sono stati scontati dall’indulto) e dopo altri sei mesi di sospensione sono tornati in servizio.

In tutti questi anni ci son stati depistaggi, intimidazioni e persino l’accusa di diffamazione (insieme a due giornalisti) per la madre dello studente, Patrizia Moretti.

Troppo per il senatore Pd Luigi Manconi, che da quando era sottosegretario alla Giustizia nel 2006 ha seguito il processo e la battaglia civile dei familiari. Oggi come presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato ha lanciato la petizione #vialadivisa per chiedere che quei poliziotti non tornino più in servizio di ordine pubblico. In poche ore oltre ottantamila firme sono arrivate al ministro dell’Interno Angelino Alfano per chiedergli di intervenire.

Luigi Manconi partiamo dall’inizio, cosa è successo a Ferrara?
«Il corpo del ragazzo è rimasto sulla strada dalle 6 di mattina alle 11, quando sono stati avvisati i genitori. Federico era sfigurato dalle percosse e sui suoi vestiti c’erano larghe macchie di sangue. I poliziotti, poi condannati in via definitiva per eccesso colposo in omicidio colposo, tentarono di depistare e si sono difesi dicendo che si era ferito da solo sbattendo la testa contro i pali della luce. E per proteggersi hanno disinformato, omesso, mentito. E hanno subito una condanna per un omicidio che, nella sostanza e nella concretezza del fatto, di colposo non ha niente».

In questi anni Lei ha rappresentato la voce dei familiari delle vittime degli “omicidi di Stato”..
«Ne rimasi così colpito che mi misi a disposizione per condurre insieme una battaglia culturale e politica. Questo mi ha avvicinato alle famiglie di Federico, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Dino Budroni, Michele Ferrulli e altri ancora e come presidente della associazione “a buon diritto” mi sono adoperato per far conoscere le loro storie, ho scritto libri e articoli, ho fatto decine di incontri. E in tutti questi anni posso dire che mai da queste persone è stata pronunciata una sola parola di vendetta, mai una richiesta di punizione esemplare, mai una domanda di carcerazione infinita».

Cosa chiedete per chi abusa del potere?
«Quello che chiediamo è la condanna per di chi ha commesso illegalità, una battaglia per la verità e per la giustizia che può essere enormemente faticosa. Eppure il ruolo pubblico svolto da queste donne – madri, sorelle, figlie di vittime – è stato in questi anni straordinario. Hanno saputo fare del dolore più intimo e privato una risorsa per l’impegno civile e, se posso dire, politico. Un messaggio culturale davvero significativo».

E per gli agenti che pestarono a morte Aldrovandi?
«Non hanno mai chiesto scusa, non si sono mai mostrati addolorati. Il drammatico paradosso è che ora potrebbero tornare, armati, a svolgere un servizio istituzionale delicato come quello della gestione dell’ordine pubblico. Ciò è profondamente iniquo. Non chiedo il licenziamento né la “morte civile”, né l’espulsione dal consesso sociale. Chiedo solo un atto di elementare prudenza per evitare che possano ripetere l’orrore già compiuto. Dunque, non vanno mai utilizzati in attività di ordine pubblico e di sicurezza ma nemmeno devono svolgere servizi a contatto con i cittadini. Sono fiducioso che un intervento del capo della polizia, il prefetto Pansa, eviterà questa vergogna».

Perché la petizione?
«Per dare la forza simbolica di una domanda collettiva a quella mia richiesta di un atto di saggezza e di cautela. Quei poliziotti si sono dimostrati indegni di gestire il monopolio legittimo dell’uso della forza. Una funzione delicatissima e terribile che, se non viene svolta con equilibrio e con intelligenza, può provocare irreparabili tragedie».

Grazie alle vittime di Stato di ieri si possono prevenire quelle di domani?
«Io spero che presto si arrivi all’introduzione di codici identificativi per le forze dell’ordine . Trovo puerile che lo si rifiuti perché potrebbe esporre i poliziotti alla rappresaglia. Non si tratta certo di scrivere nomi e cognomi sulle divise bensì di consentire alla Magistratura di identificare i responsabili di atti illegali. Poi c’è la questione del reato di tortura: il mio disegno di legge che lo definiva come reato “proprio”, imputabile ai pubblici ufficiali e a chi esercita pubbliche funzioni, non è stato accolto e ora il Senato discute di una versione “più leggera” che prevede la tortura come reato comune. Meglio di niente».

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