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Sel. Vendola chiude al nuovo esecutivo: se ci vuole tagli gli F35. Con un governo fino al 2018 il rischio è vedere seppellito il centrosinistra
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Renzi, diversamente invotabile

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Sel. Vendola chiude al nuovo esecutivo: se ci vuole tagli gli F35. Con un governo fino al 2018 il rischio è vedere seppellito il centrosinistra

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Sel. Vendola chiude al nuovo esecutivo: se ci vuole tagli gli F35. Con un governo fino al 2018 il rischio è vedere seppellito il centrosinistra

«Nes­suno provi a rap­pre­sen­tare il nostro par­tito come una bot­tega di arri­vi­sti. Nes­suno è in ven­dita». Nichi Ven­dola alza uno scudo stel­lare su Sel, in que­sti giorni agi­tato — a leg­gere i gior­nali — dallo spet­tro di una scis­sione, l’ennesima, incubo della sini­stra dai tempi dell’89. Fal­si­fi­ca­zioni inte­res­sate, dice Ven­dola, sulla ten­ta­zione di un ingresso nel governo Renzi; o di un sì alla fidu­cia, anche pro­nun­ciato alla spic­cio­lata, in cam­bio di pol­trone. Voci, ven­ti­celli calun­niosi — a detta dei coin­volti — che il pre­si­dente attri­bui­sce agli «staff di certi lea­der» — leg­gasi quello del Pd — «mali­zio­sa­mente messe in giro. Anche sulla pre­si­dente della camera Bol­drini» che hanno «lo scopo di inqui­nare la ric­chezza del nostro dibat­tito», «come se in Sel ci fos­sero i saldi».

Ven­dola stoppa tutto: «Renzi, con una for­mi­da­bile acce­le­ra­zione poli­tica ha dis­si­pato un intero patri­mo­nio di cre­di­bi­lità, spe­ranze e con­sensi». Lo scet­ti­ci­smo sulla nascita del nuovo governo parte dalla «bru­ta­lità» con cui è liqui­dato il pre­mier Letta, in una crisi «con­su­mata nel chiuso di un par­tito», e un dibat­tito zeppo «di cita­zioni let­te­ra­rie per subli­mare il carat­tere livido del pas­sag­gio auto­can­ni­ba­le­sco. Era meglio citare il Conte Ugo­lino», il dan­nato dan­te­sco che si nutre dei figli e di se stesso.
Quanto al voto di fidu­cia — finita l’assemblea, la dele­ga­zione di Sel sale al Colle per le con­sul­ta­zioni — Ven­dola chiude. Ma non la discus­sione fra i suoi. Fabio Mussi attacca il capo­gruppo alla camera Gen­naro Migliore per non aver stron­cato le voci di una scis­sione fra i par­la­men­tari. Ma a poco vale il ten­ta­tivo di met­tere la sor­dina sulle dif­fe­renze. Fra i par­la­men­tari c’è chi pro­nun­cia un no a pre­scin­dere a un governo con Alfano, e chi aspet­te­rebbe il pro­gramma per lo stesso mono­sil­labo. Ma nel docu­mento finale c’è l’unanimità sulle con­di­zioni per Renzi: no agli F35, eso­dati, patri­mo­niale, red­dito minimo, vio­lare il vin­colo del 3 per cento in Europa. E: ius soli, diritti civili, («Ma quale può essere per il Pd il minimo comune deno­mi­na­tore con Carlo Gio­va­nardi?»), riforma dei trat­tati euro­pei, fiscal com­pact. E però la fidu­cia di Renzi — impro­nun­cia­bile per tutti — è solo un’insorgenza del tor­mento di Sel. Che sta comun­que a un bivio da sca­pi­collo: se il «governo di emer­genza» di Letta si tra­sforma nel «governo di legi­sla­tura di Renzi» con la destra, è l’idea stessa dell’alleanza di cen­tro­si­ni­stra che si sgre­tola. Por­tan­dosi giù alla pie­tra ango­lare di Sel: rico­struire la sini­stra del centrosinistra.

Il tema inve­ste in pieno l’adesione alla lista uni­ta­ria per Tsi­pras, il lea­der della sini­stra radi­cale greca, già indi­cata al con­gresso di Ric­cione e con­fer­mata ieri. Eppure Sel andrà al con­gresso del Pse di Roma, il 28 feb­braio, che indi­cherà invece il social­de­mo­cra­tico Schulz can­di­dato alla pre­si­denza della com­mis­sione Ue. Qui lo scon­tro è ruvido. «Ripren­diamo le fila del pro­getto ori­gi­na­rio, c’è chi intende la lista Tsi­pras come un pas­sag­gio per costruire una cosa a sini­stra, fuori dal Pse» (Ileana Piaz­zoni), «Siamo una mino­ranza ma non dob­biamo essere mino­ri­tari» (Mar­tina Nardi), «Tsi­pras è un nostro caro amico ma nella sua lista siamo mal­tol­le­rati» (un duris­simo Clau­dio Fava). Nel mirino le con­di­zioni poste dai pro­mo­tori della lista (no lea­der di par­tito né chi ha rico­perto inca­ri­chi di governo nazio­nali e regio­nali). Migliore: «Can­cel­liamo quei veti. Il nostro con­tri­buto deve essere garan­tito anche a costo di ricor­dare che pos­siamo pre­sen­tare una lista auto­noma». Replica di Mussi: «L’idea che con un nostro sacri­fi­cio si evi­tino altre can­di­da­ture mi sem­bra augu­ra­bile». E Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio: «Tsi­pras non è un mino­ri­ta­rio, in Gre­cia ha il 30%, a Roma ha voluto incon­trare Letta e Zin­ga­retti. Piut­to­sto, evi­tiamo di augu­rarci di fare la fine dei socia­li­sti Nencini».

Fini­sce alla conta, sulla lista Tsi­pras. In 51 fir­mano un emen­da­mento che chiede altre veri­fi­che per ade­rire alla lista uni­ta­ria e mette in guar­dia dalle derive «neo­gi­ro­ton­dine e gril­line» dei pro­mo­tori. Poi lo votano in meno di trenta. Fra loro 19 depu­tati su 37 (fra gli altri il capo­gruppo Migliore e il teso­riere Ser­gio Boc­ca­du­tri, Titti Di Salvo, Fava), e un sena­tore su 7: quasi la metà dei par­la­men­tari. Ileana Piaz­zoni già parla della nascita di «un’area» (i ‘miglio­ri­sti’, è la bat­tuta vele­nosa che cir­cola). Potrebbe essere uno scatto di cre­scita per Sel, a casa Pd sarebbe pane quo­ti­diano. Qui è un mezzo trauma. Che non fini­sce qua, se Renzi deci­derà uni­la­te­ral­mente, forse per­sino sba­da­ta­mente, di chiu­dere la sto­ria del centrosinistra.

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