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L’ex segretario Cofferati: finiti in un cono d’ombra proprio in una fase in cui sviluppo e lavoro sono centrali

“In mancanza di forti obiettivi ci si riduce agli scontri interni”
“In mancanza di forti obiettivi ci si riduce agli scontri interni”

ROMA — Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil, la prende da lontano prima di dire cosa pensa sullo scontro in quello che resta il suo sindacato. Sostiene che «in una fase storica in cui i temi dello sviluppo e del lavoro sono centrali, i sindacati sono paradossalmente finiti in un cono d’ombra». «Senza una proposta organica — spiega — non sono in condizione, da una parte, di incalzare il governo e, dall’altra, di avere un largo consenso nel Paese».
Questo cosa c’entra con lo scontro in atto tra la Cgil e la Fiom?
«C’entra perché se non sei in grado di mettere in campo un’azione forte nel rapporto con il governo e le imprese, inevitabilmente vieni attratto da temi più interni come quello che riguarda le caratteristiche della contrattazione. Proprio l’accordo contestato sulla rappresentanza è, secondo me, figlio di questa riduzione degli obiettivi generali e anche la spia di uno stato di difficoltà e debolezza. Che viene confermata con l’introduzione nel sistema di relazioni sociali dell’idea della punizione con le sanzioni previste contro chi vìola le intese. Ma questo vuol dire che si vuole combattere il dissenso, del tutto legittimo, con un strumento coercitivo e dimostra anche che si ha poca fiducia nella propria azione».
In realtà c’è chi sostiene che l’attuale duello Camusso-Landini sia frutto del fatto che lei, quando era il capo della Cgil, evitò di trovare una soluzione alle tensioni con la Fiom di Claudio Sabattini. Insomma, questa sarebbe una sua eredità.
«Non è vero. Abbiamo risolto di volta in volta i dissensi in una maniera semplice: discutendo».
Mi faccia un esempio.
«In diverse vertenze di ristrutturazioni industriali. E poi firmai io, come segretario generale della Cgil, un contratto nazionale dei metalmeccanici perché la categoria non riusciva a trovare una via per l’accordo con gli industriali».
Ritiene che il sindacato sia oggi più debole rispetto a quello degli anni Novanta?
«Non è un problema di debolezza. Il problema è la mancanza di volontà di confrontarsi. Bisogna aver voglia di usare più
democrazia e di essere più tolleranti verso il dissenso. Va restituito ai lavoratori, cioè ai destinatari degli accordi, il diritto di decidere».
Quali sono, a suo avviso, le responsabilità della Camusso e di Landini?
«Evito di dare consigli. Ciascuno faccia il proprio compito. Come ex segretario generale della Cgil mi piacerebbe che su questi temi ci fosse un confronto pubblico di fronte ai delegati dei metalmeccanici e con la altre categorie».
Lei è un iscritto alla Cgil, quale documento voterà al congresso: quello della Camusso o quello di Cremaschi?
«Sono affezionato a Giorgio Cremaschi, ma non potrei proprio votarlo».
Ci sarà un “effetto Renzi” sul sindacato?
«No. Oggi non vedo pericoli per l’autonomia del sindacato. I pericoli vengono dalla vita interna con chiusure che non hanno ragione d’essere».
Cosa pensa della ritrovata unità tra Cgil, Cisl e Uil?
«Perché, secondo lei c’è? Se ci fosse sarebbe una buona cosa»

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