Società. La crisi nutre il disagio sociale ma anche quello culturale fa parte della emarginazione. Lontano è il tempo della società dei due terzi di Peter Glotz. Oggi quel due si va allargando mentre l'uno si assottiglia
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La resistibile ascesa populista del ceto medio

Società. La crisi nutre il disagio sociale ma anche quello culturale fa parte della emarginazione. Lontano è il tempo della società dei due terzi di Peter Glotz. Oggi quel due si va allargando mentre l’uno si assottiglia

Società. La crisi nutre il disagio sociale ma anche quello culturale fa parte della emarginazione. Lontano è il tempo della società dei due terzi di Peter Glotz. Oggi quel due si va allargando mentre l’uno si assottiglia

Su Repub­blica di qual­che giorno, Pie­tro Ignazi, uno dei nostri più lucidi poli­to­logi, coglie bene il legame tra l’accelerata mar­gi­na­liz­za­zione del ceto medio e il dif­fon­dersi dei popu­li­smi in Ita­lia e in Europa. «La caduta verso il basso di que­sti ceti – egli scrive — desta­bi­lizza il sistema per­ché lo spae­sa­mento per la per­dita di una con­di­zione spesso acqui­sita a fatica e con sacri­fici, e i sen­ti­menti di fru­stra­zione e rab­bia che ne deri­vano, spin­gono verso posi­zioni poli­ti­che estreme». La cur­va­tura del ragio­na­mento di Ignazi, tut­ta­via, pri­vi­le­gia un aspetto limi­tato, anche se con­di­vi­si­bile, del pro­blema: la neces­sità di dia­lo­gare con il Movi­mento 5Stelle per sbloc­care l’impasse poli­tica attuale ed evi­tare la for­ma­zione di più ampi poli di destra populista.

Il pro­blema andrebbe tut­ta­via decli­nato anche su altri ver­santi. In primo luogo occor­re­rebbe col­le­gare i cosid­detti popu­li­smi (ter­mine non sem­pre con­di­vi­si­bile e che uso qui per bre­vità) non solo al gigan­te­sco smot­ta­mento sociale che stanno subendo le classi medie, ma anche al fatto che molte di esse hanno per­duto ogni rife­ri­mento poli­tico nei par­titi tra­di­zio­nali, ogni legame e luogo di rap­pre­sen­tanza. L’organizzazione poli­tica della volontà col­let­tiva si è lique­fatta. Non solo – e qui il rife­ri­mento spe­ci­fico è alla sini­stra ita­liana del recente pas­sato e oggi al Pd — i ceti medi e popo­lari che subi­scono l’emarginazione non hanno rice­vuto la pro­te­zione che si aspet­ta­vano. Essi sono stati pri­vati dei loro tra­di­zio­nali rife­ri­menti cul­tu­rali, del loro pre­ce­dente oriz­zonte, di ogni senso di direzione.

Il disa­gio sociale è un ingre­diente for­mi­da­bile di disar­ti­co­la­zione, ma lo smar­ri­mento cul­tu­rale e ideale non lo è di meno. La poli­tica, per lo meno nella tra­di­zione della sini­stra, è non solo rap­pre­sen­tanza di inte­ressi mate­riali, ma anche sen­ti­mento col­let­tivo, visione, valori con­di­visi. La poli­tica del Pd degli ultimi tre, quat­tro anni costi­tui­sce una delle sor­genti prin­ci­pali di ali­men­ta­zione del popu­li­smo gril­lino. E dun­que l’analisi di quest’ultimo feno­meno dovrebbe guar­dare anche in tale direzione.

Occorre tut­ta­via alzare lo sguardo e osser­vare feno­meni più gene­rali e più vasti. Io credo che la crisi abbia acce­le­rato un feno­meno da tempo in atto, che non riguarda, ovvia­mente, solo l’Italia. Il ceto medio sta subendo colpi for­mi­da­bili un po’ in tutti i paesi di antica indu­stria­liz­za­zione. La cre­scita mon­diale delle dise­gua­glianze col­pi­sce anche que­sta fascia, ridu­cendo la stra­ti­fi­ca­zione sociale crea­tasi a metà Nove­cento. Negli Usa da tempo cre­sce la sag­gi­stica sulla Cri­sis o sulla End della Middle Class. Chi ha stu­diato le causa del tra­collo finan­zia­rio ini­ziato nel 2008 sa che il suo epi­cen­tro è nella sta­gna­zione plu­ri­de­cen­nale dei red­diti della middle class negli Usa, costretta a inde­bi­tarsi per soste­nere la corsa ai con­sumi della mac­china pro­dut­tiva ame­ri­cana e mondiale.

Dun­que, oggi appare in via di esau­ri­mento un assetto di potere ege­mo­nico del capi­ta­li­smo che si era affer­mato dal 1945 agli anni ’70. Qual­cuno ricorda la for­mu­la­zione della “società dei due terzi” del socio­logo social­de­mo­cra­tico tede­sco Peter Glotz nel 1987? Una ampia stra­ti­fi­ca­zione di ceti medi e alti domi­nante su una fascia ristretta di gruppi subor­di­nati. Così è stata con­trol­lata la classe ope­raia, men­tre i par­titi comu­ni­sti e social­de­mo­cra­tici sono finiti col diven­tare ele­menti costi­tu­tivi della società capi­ta­li­stica. Ma oggi la parte mag­gio­ri­ta­ria di quel due si va assot­ti­gliando e quella dell’uno si va allar­gando. Pro­ba­bil­mente ci tro­viamo di fronte a una gigan­te­sca novità di sce­na­rio nella dislo­ca­zione e nel ruolo del capi­ta­li­smo del nostro tempo.

Un con­so­li­dato blocco sociale si va sgre­to­lando. La crisi, infatti, ci impone que­sta domanda radi­cale: riu­scirà più il capi­ta­li­smo a offrire a miliardi di per­sone il livello di red­diti e di benes­sere, l’orizzonte di eman­ci­pa­zione che ha garan­tito ai paesi dell’Occidente per diversi decenni? Riu­scirà il capi­ta­li­smo a rico­struire le con­di­zioni della pro­pria ege­mo­nia, (per­ché di ege­mo­nia, in senso gram­sciano, si è trat­tato) men­tre oggi sem­pre più bru­tal­mente si regge sul puro dominio?

E’ que­sta una delle domande fon­da­men­tali che il mag­giore par­tito ita­liano di cen­tro sini­stra dovrebbe porsi, smet­tendo di esor­ciz­zare la pro­pria insor­mon­ta­bile impo­tenza con la cri­tica al popu­li­smo. Il feno­meno della crisi dei ceti medi inve­ste infatti in pieno il Pd. Non c’è dub­bio che il suo antico e fedele elet­to­rato (ere­di­tato dal Pci) con gli anni si è con­cen­trato tra i ceti medi, parte dei quali pro­ve­nienti dal mondo ope­raio: «una con­di­zione spesso acqui­sita a fatica e con sacri­fici » per dirla con le parole di Ignazi.

Ma si pensi anche a un feno­meno sociale poco con­si­de­rato nei suoi effetti poli­tici: l’enorme disoc­cu­pa­zione gio­va­nile. Essa coin­volge ormai la gran parte delle fami­glie ita­liane, anche quelle dei ceti medio alti, che vedono eroso il loro red­dito dall’obbligo di dover soste­nere una intera gene­ra­zione senza lavoro. Ma non è in gioco solo il red­dito. Men­tre le fami­glie si impo­ve­ri­scono, i gio­vani che ven­gono dalle loro fila per­dono fidu­cia nei con­fronti dei par­titi per­ché non tro­vano lavoro, o lo tro­vano pre­ca­rio, si imbat­tono in strade sbar­rate per la loro stessa for­ma­zione ed eman­ci­pa­zione: numeri chiusi all’università, alte tasse di iscri­zione, man­canza di borse di stu­dio, scar­sità di risorse per la ricerca, osta­coli innu­me­re­voli dis­se­mi­nati in ogni ambito della vita sociale. E que­sti gio­vani for­mano l’opinione domi­nante nelle fami­glie, costi­tui­scono il punto di vista radi­cale sulla società che li emargina.

Da tempo, tra i ceti medi e il Pd si va veri­fi­cando dun­que una deriva dei con­ti­nenti: da una parte le tra­sfor­ma­zioni mate­riali radi­ca­liz­zano i disagi sociali e il modo di viverli, e dun­que dislo­cano vaste masse su ter­ri­tori sco­no­sciuti, dall’altra quel par­tito si fa sem­pre di più custode delle com­pa­ti­bi­lità finan­zia­rie del sistema e naviga per­ciò in altre dire­zioni. Ma certo lo sbocco nella pura pro­te­sta, nell’aggressione sel­vag­gia e dispe­rata a tutte le isti­tu­zioni e sim­boli della poli­tica tra­di­zio­nale, non sarebbe così auto­ma­tico se il nuovo con­ti­nente sociale che la crisi fa emer­gere venisse ade­gua­ta­mente rap­pre­sen­tato e orga­niz­zato. Il cosid­detto popu­li­smo ha ragione di cre­scere e pro­spe­rare anche a causa di una sini­stra radi­cale che non rie­sce a costi­tuire un punto di rife­ri­mento uni­ta­rio, capace di offrire per lo meno spe­ranze e senso di mar­cia a un magma sociale che attende ancora una forma politica.

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