? Una scena di «The Square»

Berlinale. Il film «The Square» di Jehane Noujaim, candidato all'Oscar fra i documentari e in proiezione speciale nella sezione Forum, a rappresentare le rivoluzioni arabe
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La piazza ribelle in diretta

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Berlinale. Il film «The Square» di Jehane Noujaim, candidato all’Oscar fra i documentari e in proiezione speciale nella sezione Forum, a rappresentare le rivoluzioni arabe

? Una scena di «The Square»

Berlinale. Il film «The Square» di Jehane Noujaim, candidato all’Oscar fra i documentari e in proiezione speciale nella sezione Forum, a rappresentare le rivoluzioni arabe

L’appuntamento era ieri, a Potsda­mer Platz, per un nuovo sit-in con­tro le leggi omo­fobe pro­cla­mate in Rus­sia, orga­niz­zato dal locale Sch­wuz (dove tra l’altro ha festeg­giato il suo nuovo film Bruce La Bruce) e dallo Sch­wu­les Museum di Kreuz­berg, tra i più duri oppo­si­tori, a Ber­lino, alla poli­tica di Putin. La pro­te­sta con­ti­nuerà con nuovi appun­ta­menti per la durata delle Olim­piadi di Sochi, creando una sin­to­nia con le visioni que­sti giorni sugli schermi del festi­val. Fil­mare la pro­te­sta, infatti, sem­bra essere uno dei motivi ricor­renti nei film delle varie sezioni. Madrid (come nel new­sreel di Syl­vain George Vers Madrid), Occupy, le rivo­lu­zioni arabe, la ribel­lione in Iran… La piazza torna a essere sim­bolo, e luogo dell’immaginario che si sin­to­nizza sui suoi movi­menti cer­cando di illu­mi­narne le con­trad­di­zioni. Per­ché «fil­mare la lotta» obbliga anche l’immagine a cer­care una sua pro­spet­tiva, una sua forma che sia cine­ma­to­gra­fi­ca­mente resi­stente. The Square sce­glie il rac­conto in diretta, e sulla durata, den­tro gli eventi, sin­to­niz­zato con la cor­rente emo­zio­nale, e con la vita di tutti i giorni che diviene poli­tica, dove il punto di vista è quello della regi­sta che diviene come i suoi per­so­naggi pro­ta­go­ni­sta della lotta. Jehane Nou­jaim ha girato nel corso di quasi tre anni, la «piazza» del titolo è Piazza Tah­rir, il cuore della rivo­lu­zione egi­ziana, e i giorni che vedono la gente tor­narvi, com­bat­tere e anche morire, sono quelli che por­tano alla caduta di Muba­rak, e poi al regime mili­tare, col suo sor­riso che diviene subito la smor­fia di una bru­tale repres­sione. Men­tre la gioia rivo­lu­zio­na­ria, le aspet­ta­tive, i sogni, le illu­sioni si tra­sfor­mano per chi su quella piazza si è tro­vato a con­di­vi­dere uno spa­zio di cam­bia­mento, da quel gen­naio 2011, anche con chi era su posi­zioni lon­tane e diverse, nell’ennesima delu­sione. I rivo­lu­zio­nari diven­tano peri­co­losi ter­ro­ri­sti, fini­scono in galera, pic­chiati, tor­tu­rati, per­se­gui­tati. In strada, i mili­tari attac­cano e ucci­dono, in tv negano ogni cosa, la gente muore sotto ai tank, come il ragazzo cri­stiano ammaz­zato in uno scon­tro, e negli ospe­dali l’esercito «amico» sgan­cia gas kil­ler… Jehane Nou­jaim che con The Square, pre­sen­tato in pro­ie­zione spe­ciale al Forum (dove c’è un focus sulle rivo­lu­zioni arabe), è can­di­data all’Oscar nella cate­go­ria dei docu­men­tari, è egi­ziana da parte di padre, e ame­ri­cana da parte di madre, vive a Boston, ha stu­diato cinema negli Sta­tes, e quando è comin­ciata la rivo­lu­zione è andata al Cairo con la sua mac­china da presa e ha comin­ciato a fil­mare. Un gesto che, nel suo caso, signi­fica stare den­tro alla lotta inte­ra­mente, negli scon­tri più vio­lenti, con i poli­ziotti che quando vedono una mac­china da presa la distrug­gono. E per que­sto The Square appare anche come una sorta di «work in pro­gress» sin­to­niz­zato su eventi che non hanno ancora tro­vato in esito. La voce nar­rante è quella di Ahmed Has­san, un ragazzo del pro­le­ta­riato che, come ci con­fessa, ha sem­pre lavo­rato in vita sua da quando aveva otto anni. Arriva a Tah­rir dal primo giorno. Vuole cam­biare, rom­pere il cer­chio sof­fo­cante di mise­ria, ingiu­sti­zia, pre­va­ri­ca­zione di classe, cor­ru­zione, vio­lenza a cui li costringe il regime di Muba­rak. C’è poi Kha­lid, gio­vane attore che entra nella lotta, la sua fami­glia è stata costretta all’esilio, e anche lui vuole che il paese abbia una pos­si­bi­lità di demo­cra­zia. C’è Aida, ragazza infa­ti­ca­bile, in piazza senza paura con le sue lucide ana­lisi poli­ti­che, e c’è Magdy, vicino ai fra­telli musul­mani, tor­tu­rato da Muba­rak, che si tro­verà a dover sce­gliere tra il suo gruppo poli­tico e gli amici della Piazza. Intanto, i Fra­telli musul­mani si sono alleati con i mili­tari, hanno occu­pato la Piazza, e Morsi ha vinto le ele­zioni. Una scon­fitta? Forse. La cosa di cui però Ahmed, Kha­lid e gli altri sono certi è che dopo la prima volta il paese ha impa­rato a ribel­larsi, che tor­ne­ranno a scen­dere in piazza quando le cose non vanno. E così accade. Il film si ferma con la caduta di Morsi, la realtà nel frat­tempo è andata ancora avanti come sap­piamo. Ma The Square ha l’importanza di por­tarci den­tro, appunto, lon­tani dai luo­ghi comuni, nelle discus­sioni e negli obiet­tivi di quella parte di per­sone che con­ti­nuano a opporsi. A Morsi come ai mili­tari riven­di­cando una vera tra­sfor­ma­zione per la quale, come dice Ahmed — che nel frat­tempo ha impa­rato a fil­mare — ci vuole molto tempo. Loro non hanno l’abilità del com­pro­messo, quella è tutta dei par­titi poli­tici, ma sanno ciò per cui com­bat­tono, un obiet­tivo demo­cra­tico di diritti e egua­glianza di cui un certo tempo la piazza è dive­nuta il labo­ra­to­rio. E The Square riven­dica que­sta prima per­sona della Sto­ria, oppo­nen­dosi a mani­po­la­zioni e a let­ture stru­men­tali. La lotta con­ti­nua e le imma­gini ne sono dive­nuto un stru­mento essenziale.

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