La lunga scia della dittatura

Nell’aula del processo di La Plata a venti militari aguzzini dell’Argentina di Videla
Nell’aula del processo di La Plata a venti militari aguzzini dell’Argentina di Videla

Il giudice Carlos Rozansky è un uomo coraggioso. C’è lui a presiedere la corte che il 5 febbraio 2014 ha avviato il processo a 20 militari e un civile argentini coinvolti nelle atrocità della dittatura. Si tratta delle sevizie e dell’uccisione di 147 persone nel campo clandestino “La Cacha”. Etchecolatz, l’ufficiale di polizia, respinge le accuse con tono sprezzante: “Sì, ho ucciso molte persone, ma non ho violato le leggi, anzi ho obbedito alle leggi di allora, c’era una guerra contro i terroristi in atto e io l’ho combattuta”. Etchecolatz aveva tra gli accusatori un sopravvissuto del lager, Julio Lopez. Dopo la seconda deposizione di Julio si sono perse le tracce, da oltre 6 anni è desaparecido.
Quello giorno sono iniziate le minacce al giudice Rozansky, titolare del processo che in altri procedimenti ha già condannato Etchecolatz, scrivendo nella sentenza che l’ergastolo era dettato dalla particolare atrocità che connotava il suo agire. La moglie del giudice è stata aggredita, lui ha la scorta ma “non posso permettermi di avere paura”, mi dice. L’unico civile che sale sul banco degli imputati, è Jaime Smart, avvocato: ex ministro del governo nella Provincia di Buenos Aires e come tale comandava la Polizia: molti degli accusati sono stati ai suoi ordini, Jaime si difende da solo, mellifluo e determinato: è stato il primo civile a essere condannato. Claudio Grande è il più giovane con i suoi 62 anni, lavorava come tutti gli imputati nell’intelligence, nega di essere quell’assassino che con lo pseudonimo di Pablo imperversava nel lager clandestino “La Cacha” e per oltre un’ora accusa, imputato e difesa si confrontano sulle prove, con Grande che protesta la sua innocenza e lo scambio di persona.
Gli altri militari imputati oscillano tra silenzio, arroganza, ossequiosità e lamentosità. La prossima udienza sarà oggi. Nelle precedenti udienze del Tribunale di La Plata ha testimoniato la signora Papaleo, vedova di un banchiere a nome Graiver, morto in un incidente aereo sospetto: la vedova ha riconosciuto tra gli imputati i militari che la sequestrarono, la torturarono con sevizie sessuali e l’obbligarono a vendere l’industria di carta per stampa ai militari a prezzi irrisori. Costoro vendevano ai pochi giornali consentiti allora, tra cui La Nacion e il Clarin, permettendone così l’esistenza. Clarin e Nacion sono oggi tra i più accesi nemici del governo.
Il processo di La Plata riveste una duplice valenza: da un lato dimostra sempre più l’alleanza tra militari e sistema finanziario (La Mercedes e la Ford sono già state condannate in altri processi per tali intrecci), dall’altro lancia il messaggio che il nemico è sempre lo stesso: gli allevatori e i latifondisti, nemici dichiarati di Cristina Kirchner, la presidenta, come allora erano vicini alla dittatura.
I golpe militari iniziati nel 1966 in Brasile, passando per la Bolivia nel 1970, l’Uruguay nel 1972 e il Cile nel 1973 arrivano al colpo di Stato del 24 marzo 1976 in Argentina. Le dittature cilena e argentina hanno visto i militari nelle vesti di autori materiali di un piano che prevedeva la sperimentazione di un modello neoliberista estremo, con privatizzazione di ogni bene dello Stato, libero mercato e assoluta condiscendenza a multinazionali, Fondo monetario e Banca mondiale. La soppressione d’ogni diritto civile e l’eliminazione di 30.000 oppositori (sacerdoti terzomondisti, sindacalisti, studenti, guerriglieri, con la creazione di oltre 300 lager clandestini) furono il viatico per trasformare l’Argentina in un immenso supermercato cui attinsero i capitali stranieri impoverendo il paese paralizzato dal terrore.
La fine della dittatura vide il presidente Alfonsin formare una commissione d’inchiesta che terminò i lavori accusando oltre mille militari di genocidio, torture, stupri e crimini contro l’umanità. La reazione si concretizzò nella Pasqua del 1987: l’insurrezione dei carapintada, militari che occuparono in armi il Parlamento, spaventarono il governo che con le leggi dell'”obbedienza dovuta” e del “punto final” amnistiò la quasi totalità dei colpevoli nel 1988, completando l’opera con l’indulto final del 1990. La lotta instancabile delle donne di Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos, dettò la resistenza dal 1977. Fino al 2003 quando Nestor Kirchner, divenuto presidente, promosse l’annullamento delle leggi salva-militari.

* Psichiatra e presidente Arci Torino

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