? Un'immagine tratta dalla serie tv Hbo "Burning bush", in alto un ritratto di Jan Palach e i suoi funerali il 16 gennaio 1969

L'anticomunismo a Praga non tira più. Difficile ormai abusare a destra del nome del giovane che si suicidò col fuoco contro la fine del socialismo dal volto umano nel gennaio 1969. Inoltre il Kscm è interlocutore dei socialdemocratici
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Jan Palach, oltre l’icona

? Un’immagine tratta dalla serie tv Hbo “Burning bush”, in alto un ritratto di Jan Palach e i suoi funerali il 16 gennaio 1969

L’anticomunismo a Praga non tira più. Difficile ormai abusare a destra del nome del giovane che si suicidò col fuoco contro la fine del socialismo dal volto umano nel gennaio 1969. Inoltre il Kscm è interlocutore dei socialdemocratici

? Un’immagine tratta dalla serie tv Hbo “Burning bush”, in alto un ritratto di Jan Palach e i suoi funerali il 16 gennaio 1969

L’anticomunismo a Praga non tira più. Difficile ormai abusare a destra del nome del giovane che si suicidò col fuoco contro la fine del socialismo dal volto umano nel gennaio 1969. Inoltre il Kscm è interlocutore dei socialdemocratici

A fine gen­naio si sono con­cluse le ini­zia­tive per il ricordo del 25simo anni­ver­sa­rio della morte di Jan Palach, il gio­vane stu­dente ceco­slo­vacco suci­da­tosi come tor­cia umana in Piazza Ven­ce­slao nel gen­naio 1969 per pro­te­sta con­tro le con­di­zione di sud­di­tanza in cui era ridotta la Ceco­slo­vac­chia dopo l’intervento degli eser­citi del Patto di Var­sa­via. L’anniversario è stato tut­ta­via anche l’occasione per fare il punto sullo stato dell’anticomunismo in Repub­blica Ceca.

Jan Palach ha avuto negli ultimi ven­ti­cin­que anni due vite paral­lele, che spesso hanno fati­cato a incon­trarsi. La prima vita, quella bio­gra­fica, parla di un gio­vane stu­dente, soste­ni­tore del socia­li­smo dal volto umano che, con un gesto di asso­luta forza e dispe­ra­zione vuole scuo­tere le coscienze dei suoi con­cit­ta­dini. Le sue riven­di­ca­zioni ven­gono rivolte non alla diri­genza sovie­tica ma al governo ceco­slo­vacco, for­mato ancora in parte e per poco dagli uomini della Pri­ma­vera, chia­mati dai sovie­tici a gestire la fase di tran­si­zione verso la nor­ma­liz­za­zione e il lungo inverno ceco­slo­vacco gui­dati poi da Gustàv Husàk. «Il gesto di Jan Palach non era sol­tanto un modo di pro­te­stare con­tro l’infondatezza morale della cen­sura e con­tro i poli­tici, che sta­vano tra­dendo una riforma die­tro l’altro, per rima­nere più a lungo al governo ma anche con­tro il peri­colo, che ognuno di noi cor­reva, di ricon­ci­lia­zione con la situa­zione di allora», ricorda Jan Kavan, uno dei lea­der del movi­mento stu­den­te­sco pra­ghese del bien­nio 1968–9.

La sto­ria e la fiction

La seconda vita — anche gra­zie al fatto che l’esperienza della Pri­ma­vera di Praga e del socia­li­smo dal volto umano di Ale­xan­der Dub­cek sono stati abban­do­nati dalla sini­stra in tutta Europa, tranne che per l’esperienza de Il Mani­fe­sto — ha finito per pre­va­lere sulla prima. Comin­cia vent’anni dopo, nella svolta demo­cra­tica di «vel­luto» dell’89 nella Ceco­slo­vac­chia ancora unita, con le pro­te­ste con­tro il regime pro­prio nel ven­te­simo anni­ver­sa­rio della morte dello stu­dente ceco­slo­vacco avve­nuta il 16 gen­naio 1969. Da quel momento ini­zia a pre­va­lere lo Jan Palach-combattente con­tro il comu­ni­smo, il che ne fa una delle icone più popo­lari dell’anticomunismo ceco e poi dell’estrema destra euro­pea. «La figura di Jan Palach ha una carica quasi reli­giosa e in qual­che modo è diven­tato un mar­tire della repres­sione della Pri­ma­vera — spiega Ondrej Sla­ca­lek, poli­to­logo all’Università Carlo IV di Praga e una delle menti più bril­lanti del pen­siero cri­tico ceco — Gra­zie a ciò Palach non è sol­tanto un’importante figura dell’anticomunismo ma è diven­tato addi­rit­tura parte dell’identità nazio­nale».
Con lo iato tra le due vite si è dovuta con­fron­tare anche la fic­tion tele­vi­siva, uscita quest’anno anche nelle sale cine­ma­to­gra­fi­che, Bush Bur­ning rea­liz­zata per la pay tv Hbo dalla regi­sta polacca Agnieszka Hol­land. La Hol­land sce­glie di rac­con­tare la vita di Jan Palach dal punto di vista dell’avvocato della fami­glia dello stu­dente, che dovette far fronte alla calun­nia di alcuni alti papa­veri del regime nor­ma­liz­za­tore. Così tutta la figura viene fina­liz­zata a diven­tare un’icona dell’anticomunismo, togliendo la parola al diretto inte­res­sato. «I rea­liz­za­tori cechi ci ave­vano avver­tito che il film non sarebbe stato un docu­men­ta­rio ma un lavoro arti­stico, a cui aveva dato assenso anche il fra­tello di Palach, e che si sarebbe quindi preso delle licenze arti­sti­che per essere più toc­cante», sot­to­li­nea Miro­slav Pro­kes, tra i lea­der degli stu­denti cechi nel 1968–69, che giu­dica il film della Hol­land «un mito di maniera semi-hollywoodiano».

Il 45simo anni­ver­sa­rio dell’immolazione di Jan Palach e il 25simo anni­ver­sa­rio dell’inizio della tran­si­zione dal regime gui­dato dal Par­tito comu­ni­sta ceco­slo­vacco di Husàk a una demo­cra­zia libe­rale cade in un momento par­ti­co­lare. A un quarto di secolo dal crollo del Muro di Ber­lino sem­bra incri­narsi sem­pre più l’egemonia dell’ideologia anti­co­mu­ni­sta nella società ceca. «Fino a qui il mito dell’anticomunismo ha fun­zio­nato, ma oggi manca qual­cuno che lo possa inter­pre­tare», dice un poco scon­so­lato Petr Pla­cak, una delle figure più rile­vanti dell’anticomunismo intel­let­tuale ceco. A con­fer­mare la sua let­tura è una serie di inter­venti sui gior­nali e sulle rivi­ste cul­tu­rali, che non hanno smesso negli ultimi mesi di annun­ciare la fine dell’anticomunismo. «Cer­ta­mente l’egemonia dell’anticomunismo si è incri­nata, ma potrebbe essere pre­sto per par­lare della sua fine — stima Ondrej Sla­ca­lek — Que­sti arti­coli hanno infatti anche il fine di mobi­li­tare tutte le forze disponibili».

La fine dell’esclusione

La crisi dell’anticomunismo in Repub­blica Ceca non è rap­pre­sen­tata sol­tanto dall’incapacità di rap­pre­sen­tare Jan Palach come icona della destra. Si è veri­fi­cata anche sul ter­reno politico-partitico gra­zie a un’altra rot­tura avve­nuta in con­tem­po­ra­nea. In primo luogo a par­tire dal 2008 il Par­tito social­de­mo­cra­tico (Cssd) ha comin­ciato a non rispet­tare la con­ven­tio ad exclu­den­dum verso i tar­do­co­mu­ni­sti della Kscm — niente a che vedere con il Par­tito comu­ni­sta che fu di Dub­cek -, che tutt’ora prende tra il 10% e il 15% dei suf­fragi. L’apice del cam­bia­mento alle ultime ele­zioni par­la­men­tari di otto­bre del 2013, quando i social­de­mo­cra­tici hanno dichia­rato di voler for­mare un governo con l’appoggio esterno della Kscm. «È un cam­bia­mento note­vole — com­menta Sla­ca­lek — per­ché negli anni ’90 e all’inizio del secolo anche i social­de­mo­cra­tici hanno dovuto essere anti­co­mu­ni­sti per essere accet­tati tra le forze poli­ti­che demo­cra­ti­che e a livello internazionale».

Nella seconda metà del 2013 si è inol­tre con­su­mato un intenso scon­tro sul metodo da con­durre nelle ricer­che sto­ri­che sul periodo 1970–1989, finora affron­tato quasi esclu­si­va­mente dal punto di visto del para­digma tota­li­ta­rio. Ma ormai tra gli sto­rici cechi sta cre­scendo e pren­dendo la parola una schiera di per­so­na­lità di que­sta disci­plina, che con­te­stano che la società d’allora possa essere stu­diata solo dal punto di vista della repres­sione, dando per scon­tato che il regime si reg­gesse in piedi esclu­si­va­mente con una poli­zia onni­pre­sente. Da deto­na­tore per uno scon­tro aperto è ser­vito il cam­bio al ver­tice dell’Istituto per lo Stu­dio dei Sistemi Tota­li­tari (Ustr), che gesti­sce gli archivi dell’Stb, la vec­chia poli­zia segreta, e dovrebbe stu­diare il fun­zio­na­mento delle società tota­li­ta­rie. Con l’arrivo di nuovi con­si­glieri vicini alla sini­stra alla guida dell’Ustr, finora bastione della sto­rio­gra­fia anti­co­mu­ni­sta, anche l’Istituto si dovrà aprire, con molte resi­stenze, a nuovi para­digmi inter­pre­ta­tivi di quel periodo sto­rico.
Infine nel 2013 è scesa per la prima volta sotto il 50% la quota delle per­sone che valu­tano la demo­cra­zia libe­rale del dopo-’89 migliore del regime gui­dato dal Par­tito comu­ni­sta ceco­slo­vacco. «Que­sti dati pos­sono avere un’interpretazione mul­ti­pla, e non credo che tutte quelle per­sone desi­de­rino tor­nare ai vec­chi tempi — osserva Ondrej Sla­ca­lek — Piut­to­sto dimo­strano la grande delu­sione verso le mega-promesse non man­te­nute della rivo­lu­zione del 1989».

Con la gra­duale scom­parsa dell’anticomunismo e della sua presa sulla popo­la­zione, la destra ceca è a corto di un ele­mento uni­fi­cante ed ege­mo­nico. A ren­dere palese la spac­ca­tura sono state le ele­zioni par­la­men­tari di otto­bre, da cui è uscito vin­ci­tore l’imprenditore e fre­sco padrone di impor­tanti quo­ti­diani, Andrej Babis. Babis, che ha fon­dato un pro­prio par­tito per­so­nale, è un uomo di destra e uno dei grandi oli­gar­chi par­to­rito dall’economia ceca dopo il 1989. Ma non ha quasi alcun tratto comune con le per­so­na­lità della tra­di­zio­nale destra ceca: ha fatto car­riera prima dell’89, ha un approc­cio prag­ma­tico alla poli­tica, punta sull’immagine d’uomo d’impresa, che solo con il suo prag­ma­ti­smo affa­ri­stico «dà lavoro» ai pro­pri dipen­denti e crea l’agognata pro­spe­rità. Degli approcci ideo­lo­gici che hanno con­no­tato fino al 2013 la destra ceca, come l’anticomunismo ma anche l’euro-scetticismo o la rus­so­fo­bia, non sa che far­sene. Nella destra ceca dimora quindi un vuoto ideo­lo­gico, che tut­ta­via potrebbe essere ben pre­sto sosti­tuito da uno nuovo schema d’idee che già emerge. Quello di gestire lo Stato come un’azienda.

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Un convegno sulla Primavera di Jan Palach

Mer­co­ledì 12 feb­braio 2014 presso la Facoltà di Scienze Poli­ti­che, Eco­no­mi­che e Sociali (Sala Lau­ree di Via del Con­ser­va­to­rio 7, Milano) e con la col­la­bo­ra­zione del Cen­tro Ceco di Milano, si svol­gerà il con­ve­gno «Diritto e libertà nell’Europa Cen­trale ed Orien­tale. A 45 anni dal sacri­fi­cio di Jan Palach e a 25 dalla caduta del muro di Ber­lino» (Segr. Laura Rado­gna: laura.?radogna@?unimi.?it e Fran­ce­sca Dau: francesca.?dau@?unimi.?it.). Ver­ranno pre­sen­tati nuovi saggi sulla Fede­ra­zione ceco­slo­vacca e tra gli inter­venti annun­ciati segna­liamo J-P. Mas­sias, Uni­ver­sité de Pau et des Pays de l’Adour «L’esportazione del modello demo­cra­tico occi­den­tale nelle tran­si­zioni dell’89»; F. Leon­cini, Uni­ver­sità Ca Foscari, Vene­zia «Attua­lità di Jan Palach e della “sua” Primavera».

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