Elezioni europee, Tsipras e il Mediterraneo

La trap­pola in cui si trova inca­strata l’Italia è ormai evi­dente non solo ai tec­nici e ai poli­tici che hanno con­tri­buito a costruirla. Da una parte è vin­co­lata ai ceppi della moneta unica e a una poli­tica di auste­rità per­fino costi­tu­zio­nal­mente impo­sta, dall’altra ha una strada sbar­rata: l’impossibilità di uscire dall’euro e di ritro­vare la pro­pria auto­no­mia mone­ta­ria senza un col­lasso economico-finanziario di impre­ve­di­bili pro­por­zioni.

La trap­pola in cui si trova inca­strata l’Italia è ormai evi­dente non solo ai tec­nici e ai poli­tici che hanno con­tri­buito a costruirla. Da una parte è vin­co­lata ai ceppi della moneta unica e a una poli­tica di auste­rità per­fino costi­tu­zio­nal­mente impo­sta, dall’altra ha una strada sbar­rata: l’impossibilità di uscire dall’euro e di ritro­vare la pro­pria auto­no­mia mone­ta­ria senza un col­lasso economico-finanziario di impre­ve­di­bili pro­por­zioni.

Il nostro Paese, come altri dell’Unione, subi­sce oggi una dop­pia per­dita di sovranità.

Da una parte pati­sce quel che pati­scono tutte le realtà nazio­nali: la cre­scente sot­tra­zione di potere da parte delle nuove feu­da­lità finan­zia­rie inter­na­zio­nali. Come un tempo i baroni insi­dia­vano il potere del re sul ter­ri­to­rio, allo stesso modo grandi ban­che e finanza occulta – « gli ignoti sovrani », come li chiama Guido Rossi — con­di­zio­nano la vita e la poli­tica eco­no­mica dei governi. Ma al tempo stesso noi, come gli altri stati d’Europa, abbiamo per­duto lo stru­mento che da mil­lenni, insieme alla forza mili­tare, fonda la sovra­nità degli stati: la moneta. Ora, qua­lun­que uomo di stato – figura di cui in Ita­lia si è persa trac­cia e temiamo anche la “semenza” — da tempo avrebbe indi­riz­zato i pro­pri sforzi a rac­cor­dare le forze euro­pee inte­res­sate a com­bat­tere la guerra di distru­zione sociale ingag­giata dalla Troika e dalla Ger­ma­nia con­tro l’Unione. I gover­nanti ita­liani avreb­bero dovuto man­te­nere con­tatti feb­brili non solo con la Fran­cia, ma anche con la Spa­gna, con la Gre­cia, con il Por­to­gallo, con l’Irlanda E non solo con i loro governi, anche con i loro popoli, la loro gio­ventù, get­tati nella dispe­ra­zione dalla crisi e dalla poli­tica di auste­rità. Avreb­bero dovuto con­tra­stare una pra­tica auto­ri­ta­ria di governo dell’Unione con la forza e la mobi­li­ta­zione di una parte vasta di popoli che ne fanno parte. Certo, ai poli­tici nostrani que­sta sarebbe apparsa come una ini­zia­tiva popu­li­stica: ci si muove attra­verso le isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive, non si mobi­lita il popolo. Ma que­sto popolo, come ricorda Fitoussi nel Teo­rema del lam­pione, vede ormai da troppo tempo la poli­tica eco­no­mica dell’Unione «indi­pen­dente da ogni pro­cesso demo­cra­tico». E si può costruire un grande edi­fi­cio sovra­na­zio­nale senza mobi­li­tare le grandi masse dei vari paesi? In realtà l’Unione sta can­cel­lando la più grande pagina di eman­ci­pa­zione poli­tica della seconda metà del ‘900: l’avvento della demo­cra­zia. Vale a dire la società demo­cra­tica, quella avan­zata forma di vita asso­ciata che nasce dopo la seconda guerra mon­diale. Nasce allora, per­ché quelle pre­ce­denti, a parte fasci­smo e nazi­smo, anche in Usa, erano solo società liberali.

Ma oggi in Ita­lia l’ iner­zia e il vuoto tra­me­stìo da parte delle forze del centro-sinistra e del governo in carica, si com­bi­nano con un atteg­gia­mento atten­di­sta e con una inet­ti­tu­dine di mano­vra che sgo­menta. Si crede di esor­ciz­zare il sisma sociale che va sgre­to­lando il paese annun­ciando riprese pros­sime ven­ture, uscite dai tun­nel, scatti, cre­scita, ecc. con­su­mando 9 mesi per rifor­mare l’Imu: con l’effetto di non cam­biare nulla della pres­sione fiscale, e aggiun­gendo sup­ple­men­tari e fru­stranti dif­fi­coltà al cit­ta­dino con­tri­buente. Un’altra ban­die­rina pub­bli­ci­ta­ria recente è il seme­stre euro­peo dell’Italia, che natu­ral­mente non cam­bierà asso­lu­ta­mente nulla della nostra sorte, come nulla hanno cam­biato i pre­ce­denti seme­stri per i paesi di turno. Pura poli­tica degli annunci, la sola dimen­sione in cui pare essersi rifu­giata la super­stite crea­ti­vità del ceto poli­tico del nostro tempo. Ma nulla auto­rizza svolte e riprese senza un cam­bia­mento radi­cale della poli­tica dell’Unione. Usando pru­den­tis­simi con­di­zio­nali, il Bol­let­tino di gen­naio della Banca d’Italia ricorda impla­ca­bile: «il miglio­ra­mento dell’economia si tra­smet­te­rebbe con i con­sueti ritardi alle con­di­zioni del mer­cato del lavoro:l’occupazione potrebbe tor­nare a espan­dersi solo nel 2015». Il «2015»! «potrebbe»!

Sul piano poli­tico non è chi non veda il grande peri­colo che è davanti a noi. Oggi in Ita­lia, a cri­ti­care in maniera radi­cale e con­vin­cente la poli­tica auto­ri­ta­ria e anti­po­po­lare della Ue è la destra e il movi­mento 5 Stelle. L’irresponsabile “senso di respon­sa­bi­lità” del cen­tro sini­stra sta con­se­gnando alla destra la cri­tica all’austerità, que­sto ter­reno irri­nun­cia­bile per sal­vare il nostro paese e la stessa Unione. Di que­sto passo il governo Letta pre­para le con­di­zione di un suc­cesso elet­to­rale del cen­tro destra dagli esiti imprevedibili.

Di fronte a que­sto sce­na­rio uno spi­ra­glio impor­tante si apre con le pros­sime ele­zioni euro­pee. La can­di­da­tura a pre­si­dente del Par­la­mento di Ale­xis Tsi­pras — cal­deg­giato, su que­sto gior­nale, da molti com­pa­gni e pro­mosso ora da un impor­tante gruppo di intel­let­tuali (il mani­fe­sto, 18 gen­naio) — incarna una scelta poli­tica densa di signi­fi­cati e di oppor­tu­nità. Tsi­pras e non Mar­tin Schulz – degna per­sona – per­ché il lea­der tede­sco è il rap­pre­sen­tante di una par­tito, la Sdp, che ha scam­biato, entrando nel governo di coa­li­zione, i van­taggi nazio­nali per il pro­prio elet­to­rato con l’accettazione della poli­tica di auste­rità soste­nuta dalla Cdu e dalla Mer­kel. Una scelta aper­ta­mente anti­eu­ro­pea, di egoi­smo nazio­na­li­stico simile (non nella gra­vità, ma nella con­dotta poli­tica) a quella del 1914, che portò i socia­li­sti tede­schi ad appog­giare l’entrata in guerra del loro paese. Come oppor­tu­na­mente ricor­dato da Gad Ler­ner (Repub­blica, 4. 1. 2014). Una can­di­da­tura, aggiun­giamo, calata dall’alto, senza nes­suna con­trat­ta­zione, assun­zione di impe­gni, senza nes­sun son­dag­gio dell’opinione del popolo della sinistra.

Ma Tsi­pras merita il nostro appog­gio anche per altre ragioni. Non solo per­chè incarna una cri­tica radi­cale ma costrut­tiva nei con­fronti dell’Unione. Egli è il lea­der di Syriza, un par­tito che ha con­se­guito il 16% dei con­sensi, gra­zie a una paziente poli­tica di tes­si­tura delle disperse forze della sini­stra greca. Syriza è una lezione per tutti noi. Per noi che costi­tuiamo, senza dub­bio, una delle costel­la­zioni politico-intellettuali fra le più varie­gate e crea­tive dell’Occidente, ma non riu­sciamo a soli­di­fi­care la nostra fluida vita­lità in un orga­ni­smo uni­ta­rio e potente. Abbiamo svi­lup­pato sino al paros­si­smo il gusto della distin­zione e della dif­fe­renza e abbiamo per­duto l’intelligenza stra­te­gica che ci con­se­gnava la tra­di­zione comu­ni­sta ita­liana: la ricerca dell ‘unità. La ricom­po­si­zione delle diver­sità e dei con­flitti interni come oriz­zonte impre­scin­di­bile per scon­fig­gere l’avversario.

Qual­cuno ricorda che Gram­sci volle chia­mare Unità il gior­nale del suo par­tito? Ma c’è un’ altra ragione, di grande por­tata, da aggiun­gere alle tante che nelle ultime set­ti­mane sono state espresse, per la quale dob­biamo soste­nere Tsi­pras. Anche la cam­pa­gna elet­to­rale in suo favore deve essere un primo passo per ripren­dere il dia­logo tra l’Europa e i paesi che si affac­ciano sul Medi­ter­ra­neo. Oggi il Mare Nostrum, il cuore di una delle più fio­renti civiltà della sto­ria, è diven­tato per que­sta “Europa caro­lin­gia” un foco­laio di disor­dine migra­to­rio, un pro­blema di poli­zia fron­ta­liera. Eppure, già dalla metà degli anni ‘8o del secolo pas­sato, Fran­cia e Spa­gna ave­vano avviato una timida poli­tica di coo­pe­ra­zione con alcuni paesi africani.

Le ini­zia­tive sono cul­mi­nate nel 1995, dando corso al cosid­detto “pro­cesso di Bar­cel­lona”, che pur con molti limiti e par­zia­lità, avviava un nuovo pro­ta­go­ni­smo medi­ter­ra­neo dell’Europa. Tutto pare finito. Oggi il mondo arabo viene per­ce­pito dall’opinione pub­blica occi­den­tale come una fucina ingo­ver­na­bile di fon­da­men­ta­li­smi. Si inter­pre­tano i suoi estre­mi­smi come la sem­plice evo­lu­zione di una reli­gione intol­le­rante al cospetto della moder­nità. In realtà essi costi­tui­scono in gran parte la rea­zione irra­zio­nale e distrut­tiva alla vio­lenza mul­ti­forme dell’Occidente. Alla oltrag­giosa mer­ci­fi­ca­zione della vita dei suoi modelli cul­tu­rali, oltre che e ai vec­chi e nuovi soprusi colo­niali. Oggi l’Europa medi­ter­ra­nea deve ela­bo­rare la sua verità sto­rica. Non pos­siamo con­ti­nuare ad asse­con­dare la vul­gata ame­ri­cana sul Medio­riente. Non pos­siamo dimen­ti­care che lo stato di Israele ha vio­lato le riso­lu­zioni del Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu per oltre 70 volte , togliendo pre­sti­gio e legit­ti­mità a que­sto orga­ni­smo, creando uno stato di ille­ga­lità per­ma­nente nelle rela­zioni inter­na­zio­nali del nostro tempo. Non pos­siamo sor­vo­lare sulla diso­ne­stà siste­mica dei governi Usa, che per 60 anni hanno tenuto in piedi fan­tocci dit­ta­to­riali utili alla diplo­ma­zia impe­riale ed “espor­tato demo­cra­zia”, quando è sem­brato con­ve­niente, con i bom­bar­da­menti aerei e il mas­sa­cro delle popo­la­zioni. Non è pos­si­bile pen­sare che tale poli­tica non crei rea­zioni vio­lente, rin­fo­co­lando divi­sioni interne, riva­lità etni­che, ter­ro­ri­smo. Non è pos­si­bile dia­lo­gare con popoli tenuti per secoli sotto lo scar­pone colo­niale con i vec­chi schemi novecenteschi.

Oggi dob­biamo ela­bo­rare un nuovo dia­logo con que­sti paesi, di coo­pe­ra­zione pari­ta­ria, di aiuti, di crea­zione di con­di­zioni di benes­sere. L’evoluzione di un grande con­ti­nente, l’Africa, che peserà sul destino dell’Europa, dipende anche dalle nostre scelte. Per­ciò la sini­stra che guarda al Medi­ter­ra­neo può essere por­ta­trice di nuovi ed esal­tanti oriz­zonti di poli­tica estera. Per que­sta via essa può ren­dere evi­dente sino al ridi­colo la pochezza dei tec­no­crati che ci gover­nano, mostrare che l’avvenire del Con­ti­nente è finita in mano ai sacer­doti di un culto defunto.

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