«Mai più Cie»: in 5mila a Ponte Galeria a Roma

Movimenti. Stop ai rimpatri e alla Bossi-Fini
«Mai più Cie», que­sto lo slo­gan che ha por­tato ieri più di 5mila per­sone fin sotto le mura del Cen­tro d’intificazione ed espul­sione romano di Ponte Gale­ria. In piazza i movi­menti per il diritto all’abitare, le scuole d’italiano e le rete anti­raz­zi­ste, cen­tri sociali, asso­cia­zioni e col­let­tivi stu­den­te­schi, espo­nenti di Rifon­da­zione comu­ni­sta e del sin­da­ca­li­smo di base.
Movimenti. Stop ai rimpatri e alla Bossi-Fini
«Mai più Cie», que­sto lo slo­gan che ha por­tato ieri più di 5mila per­sone fin sotto le mura del Cen­tro d’intificazione ed espul­sione romano di Ponte Gale­ria. In piazza i movi­menti per il diritto all’abitare, le scuole d’italiano e le rete anti­raz­zi­ste, cen­tri sociali, asso­cia­zioni e col­let­tivi stu­den­te­schi, espo­nenti di Rifon­da­zione comu­ni­sta e del sin­da­ca­li­smo di base.

«Quello di oggi è un cor­teo metic­cio — spiega Irene dei Bloc­chi Pre­cari Metro­po­li­tani – è un movi­mento che fa paura, lo dimo­strano gli arre­sti che abbiamo subito pro­prio a ridosso di que­sta gior­nata e il clima di ten­sione che la poli­zia sta creando. Non abbiamo paura». Le forze dell’ordine hanno seque­strato il camion che doveva aprire la mani­fe­sta­zione, fer­mando e denun­ciando i due con­du­centi per la pre­senza a bordo di uno stri­scione mon­tato su dei pan­nelli di ple­xi­glass. Il cor­teo è avan­zato lento, scan­dito da slo­gan in lin­gue diverse lungo via Por­tuense, in que­sto lembo di peri­fe­ria subur­bana romana tra campi e palazzi, dove il Cie è stato siste­mato lon­tano da sguardi indi­screti. In testa un gruppo di donne tuni­sine, con in mano le foto dei loro ragazzi persi nel Medi­ter­ra­neo, rac­con­tano la loro sto­ria di migra­zione, il dolore di avere perso i pro­pri figli a causa di una bar­riera vir­tuale che divide un mare, la dignità di chi chiede verità e giu­sti­zia. Intanto nel Cie di Ponte Gale­ria con­ti­nua il rim­pa­trio del gruppo di nord afri­cani che nelle scorse set­ti­mane si sono cuciti le boc­che e hanno por­tato avanti lo scio­pero della fame. Da Lam­pe­dusa sono stati reclusi nel Cie capi­to­lino, e il loro destino sarà un volo che li ripor­terà al punto di par­tenza del viag­gio, dall’altra parte delle mura della for­tezza Europa. «Chie­diamo il blocco imme­diato dei rim­pa­tri per tutti e la chiu­sura di que­ste che sono vere e pro­prie galere etni­che – dichiara Ceci­lia del Labo­ra­to­rio Puzzle – que­ste strut­ture devono diven­tare un ricordo del pas­sato per un’Europa senza bar­riere, per can­cel­lare la Bossi-Fini, senza tor­nare alla Turco-Napolitano che isti­tuì que­sti luo­ghi, quando ancora si chia­ma­vano Cpt». All’arrivo alle mura del Cie, pre­si­diate da un’ingente schie­ra­mento di forze dell’ordine in assetto anti­som­mossa, cre­sce la ten­sione e la rab­bia. Un gruppo di alcune cen­ti­naia di gio­vani, coperti da faz­zo­letti, cap­pucci e dal fumo di decine di fumo­geni colo­rati, aggan­cia dei ram­pini alla rete che cir­conda il Cen­tro. Pochi secondi e la rete cade tra gli applausi. La poli­zia presa alla sprov­vi­sta si posi­ziona sul varco di decine di metri aperto nella recin­zione. Accenna una carica lan­ciando qual­che lacri­mo­geno, dall’altra parte la rispo­sta con un fitto lan­cio di petardi, bot­ti­glie e torce. Ancora una decina di minuti di ten­sione e il cor­teo pro­se­gue fino al piaz­zale anti­stante l’ingresso. Intanto, nei momenti di silen­zio si sen­tono, le urla da den­tro «libertà, libertà». La piazza risponde facendo salire in aria lan­terne cinesi e fuo­chi d’artificio per farsi vedere oltre i muri.

«Quasi tutti i Cie d’Italia sono stati chiusi dalla deter­mi­na­zione delle lotte dei migranti reclusi che in alcuni casi gli hanno rasi pra­ti­ca­mente al suolo – dichiara Gian­san­dro di Esc Info­mi­grante – Oggi ave­vamo detto che sarebbe stata una gior­nata deter­mi­nata e così è stato. Ma que­sto cor­teo è solo un momento di un per­corso che ci deve por­tare a chiu­dere dav­vero e per sem­pre tutte que­ste strut­ture, è una bat­ta­glia che que­sto movi­mento può vin­cere». Oggi altra mani­fe­sta­zione: fuori il Cara di Mineo: «Il luogo che è diven­tato il più grande cen­tro di segre­ga­zione umana d’Europa – scri­vono i pro­mo­tori – con oltre 4mila per­sone, il dop­pio della capienza ori­gi­na­ria, appar­te­nenti ad oltre 50 gruppi etnici dif­fe­renti afri­cani e asia­tici, riman­gono posteg­giati in maniera umi­liante, in attesa, lun­ghis­sima, anche oltre un anno e mezzo, per il rico­no­sci­mento del diritto d’asilo».

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