«Alla fine Moro mi chiese scusa. Era stato lui a farci condannare, allungando il segreto di Stato sulle carte». Eugenio Scalfari rievoca il celebre processo che nel novembre del 1967 lo vide alla sbarra insieme a Lino Jannuzzi per l'inchiesta dell'Espresso sul tentativo di golpe di Giovanni De Lorenzo con la complicità del presidente Segni.

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SCALFARI: “MORO SI SCUSÒ PER LA MIA CONDANNA”

Il fondatore di “Repubblica” rievoca il processo per il Piano Solo

«Alla fine Moro mi chiese scusa. Era stato lui a farci condannare, allungando il segreto di Stato sulle carte». Eugenio Scalfari rievoca il celebre processo che nel novembre del 1967 lo vide alla sbarra insieme a Lino Jannuzzi per l’inchiesta dell’Espresso sul tentativo di golpe di Giovanni De Lorenzo con la complicità del presidente Segni.

Il fondatore di “Repubblica” rievoca il processo per il Piano Solo

«Alla fine Moro mi chiese scusa. Era stato lui a farci condannare, allungando il segreto di Stato sulle carte». Eugenio Scalfari rievoca il celebre processo che nel novembre del 1967 lo vide alla sbarra insieme a Lino Jannuzzi per l’inchiesta dell’Espresso sul tentativo di golpe di Giovanni De Lorenzo con la complicità del presidente Segni.

Una testimonianza meticolosa, ricca di particolari inediti, resa all’Archivio di Stato in occasione della presentazione pubblica del fascicolo giudiziario. «Moro, che all’epoca del complotto (1964) e poi del processo (1967-1968) era presidente del Consiglio, il primo marzo del 1978 mi mandò a chiamare. Per dieci anni non ci eravamo più parlati. Ma quel giorno volle incontrarmi per illustrarmi il suo accordo con Berlinguer. Alla fine del colloquio volle tornare sul caso De Lorenzo. “Io so che ho contribuito alla vostra condanna. Ma che avrebbe fatto lei al mio posto? Da un lato c’era il segreto di Stato e c’era il piano Gladio, braccio armato della Nato. E dall’altra c’era la vostra innocenza. Scelsi la ragion di Stato”. Quindici giorni dopo sarebbe stato sequestrato dalle Br».
Si trattò di un processo “drammatico”, che vide il pubblico ministero Vittorio Occorsio lottare contro quella parte di Stato che voleva cancellare le prove a carico di Segni e De Lorenzo. «Il magistrato poté leggere la relazione del generale Manes che incriminava De Lorenzo», racconta l’archivista Michele Di Sivo, «ma il documento gli venne ritirato perché sotto segreto di Stato e poi restituito con gli omissis». Occorsio un’idea se la fece, tanto da chiedere l’assoluzione per i due giornalisti. Richiesta rimasta inascoltata.
Scalfari ha rivelato i retroscena dello scoop che inaugurò il giornalismo di inchiesta. Jannuzzi vi si imbatté quasi per caso seguendo le schedature del Sifar. Ferruccio Parri fu il testimone-chiave raggiunto a Parigi («con Jannuzzi festeggiammo da Fouquet’s»). Romanzeschi gli incontri con la “volpe” De Lorenzo in una Casina Valadier deserta, tutt’intorno il cordone di carabinieri. Si trattò di un “rumore di sciabole”, astutamente messe da De Lorenzo al servizio di Moro. Che quattordici anni dopo avrebbe chiesto scusa.

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