? La prima di Libé dell'8 febbraio 2014

Il blitz di Rotschild. Rothschild e gli altri proprietari del giornale fondato da Sartre vogliono "monetizzare" il "marchio" per trasformare le sede di rue Béranger in spazio multimediale e centro di conferenze, con bar e ristorante curati dal designer Philippe Starck. La redazione sarà esiliata in periferia
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Rivolta a Libération, «siamo un giornale non un marchio»

? La prima di Libé dell’8 febbraio 2014

Il blitz di Rotschild. Rothschild e gli altri proprietari del giornale fondato da Sartre vogliono “monetizzare” il “marchio” per trasformare le sede di rue Béranger in spazio multimediale e centro di conferenze, con bar e ristorante curati dal designer Philippe Starck. La redazione sarà esiliata in periferia

? La prima di Libé dell’8 febbraio 2014

Il blitz di Rotschild. Rothschild e gli altri proprietari del giornale fondato da Sartre vogliono “monetizzare” il “marchio” per trasformare le sede di rue Béranger in spazio multimediale e centro di conferenze, con bar e ristorante curati dal designer Philippe Starck. La redazione sarà esiliata in periferia

Sulla prima pagina di Libé­ra­tion di sabato 8 feb­braio c’è un titolo a carat­teri cubi­tali: «Siamo un gior­nale, non un risto­rante, non una rete sociale, non uno spa­zio cul­tu­rale, non una piat­ta­forma tele­vi­siva, non un bar, non un’incubatrice di start up. I dipen­denti di Libé­ra­tion rispon­dono al pro­getto degli azio­ni­sti». All’interno, cin­que pagine dedi­cate all’ultimo capi­tolo della crisi del giornale.

Il quo­ti­diano, che ha quarant’anni di vita più o meno come il mani­fe­sto, perde soldi. Nel 2013 ha perso 1,3 milioni di euro. Gli azio­ni­sti, nel novem­bre scorso, ave­vano pro­po­sto alla reda­zione un taglio degli sti­pendi intorno al 10% per evi­tare di finan­ziare un piano di dimis­sioni volon­ta­rie. Per rispar­miare, anche nelle ultime set­ti­mane erano arri­vate altre pro­po­ste, tra cui la chiu­sura obbli­ga­to­ria in tipo­gra­fia alle ore 20, senza pos­si­bi­lità di «ribat­tute» in caso di noti­zie straor­di­na­rie. A novem­bre, la reda­zione aveva rispo­sto con un voto di sfida, boc­ciando con quasi il 90% dei voti la dire­zione di Nico­las Demo­rand, un gior­na­li­sta radio­fo­nico impo­sto dagli azio­ni­sti dopo la dire­zione di Lau­rent Jof­frin, che già aveva segnato un grave periodo di crisi nel 2006, con molte dimis­sioni volon­ta­rie della «vec­chia guar­dia» dei fon­da­tori (Demo­rand, diret­tore effet­tivo dal marzo 2011 al giu­gno 2013, ha visto ridi­men­sio­nato il suo potere ed è attual­mente pre­si­dente del comi­tato di sor­ve­glianza, un diret­to­rio com­po­sto anche da Phi­lippe Nico­las e Fra­nçois Moulias).

La ten­sione negli ultimi mesi è cre­sciuta al punto che gio­vedì scorso era stato deciso un giorno di scio­pero imme­diato per venerdì. Anche il sito Inter­net è rima­sto fermo fino alle ore 15. Poi la bomba: verso le ore 17, una mail del diret­to­rio del gior­nale è arri­vata ai redat­tori. «Una presa in giro», «un insulto», «un vaffa…», sono le prime rea­zioni dei lavo­ra­tori. La deci­sione è imme­diata: fare uscire il gior­nale sabato con la rispo­sta al diret­to­rio in prima pagina e poi un’assemblea per oggi, dome­nica, che molto pro­ba­bil­mente deci­derà un altro scio­pero per il gior­nale di lunedì.

I prin­ci­pali azio­ni­sti, Edmond de Roth­schild (52% del capi­tale), l’uomo d’affari Bruno Ledoux e gli ita­liani di Ersel (eredi Carac­ciolo) vogliono usare Libé­ra­tion come un «mar­chio». E pro­pon­gono di tra­sfor­mare la sede sto­rica, in rue Béran­ger a due passi da place de la Répu­bli­que in un cen­tro di con­fe­renze e di incon­tri, con un bar, un risto­rante, una piat­ta­forma per regi­stra­zioni tele­vi­sive e radio­fo­ni­che, etc. La testata deve diven­tare «una rete sociale, crea­trice di con­te­nuti mone­tiz­za­bili su un’ampia gamma di sup­porti mul­ti­me­diali (print, video, Tv, digi­tale, forum, avve­ni­menti, radio ecc)», per acco­gliere come «luogo aperto e acces­si­bile a tutti, gior­na­li­sti, arti­sti, scrit­tori, filo­sofi, poli­tici, desi­gner» il tutto, e sem­bra dav­vero una vera presa in giro, «inte­ra­mente dedi­cato a Libé­ra­tion e al suo universo».

Pec­cato man­chi la reda­zione del gior­nale, che sarebbe desti­nata a tra­slo­care. Sem­bra addi­rit­tura che gli azio­ni­sti abbiano già preso con­tatto con il desi­gner Phi­lippe Stark per ristrut­tu­rare in cen­tro mul­ti­fun­zio­nale di 4500 mq la splen­dida reda­zione di rue Béran­ger.
Con un edi­to­riale fir­mato da tutti i dipen­denti, i gior­na­li­sti denun­ciano «il pro­getto degli azio­ni­sti che ha pro­vo­cato stu­pe­fa­zione e poi rab­bia del gruppo reda­zio­nale, tanto è lon­tano dal nostro mestiere e dai nostri valori». Per la reda­zione «non offre nes­suna pro­spet­tiva seria» e «se venisse appli­cato Libé­ra­tion sarebbe ridotta a un sem­plice mar­chio». Per i gior­na­li­sti «le pros­sime set­ti­mane saranno dif­fi­cili, ma restiamo uniti e determinati».

«Non esi­ste che il gior­nale fon­dato da Sar­tre diventi un mar­chio»I gior­na­li­sti di Libération

«Da quando discu­tiamo con Fra­nçois Mou­lias (nuovo mem­bro del diret­to­rio), che ha il ruolo di nego­zia­tore, non è mai stato evo­cato un piano del genere — denun­cia Tonino Sera­fini, gior­na­li­sta rap­pre­sen­tante del sin­da­cato Sud — ci siamo fatti imbro­gliare», afferma. E aggiunge: «Non esi­ste che il gior­nale fon­dato da Jean-Paul Sar­tre diventi un mar­chio». Per la reda­zione non è più nem­meno que­stione di ridu­zione dei salari o di anti­cipo dell’orario di chiu­sura ma di tra­sfor­mare il gior­nale nato sull’onda del ’68 in un «Libé­land, Libé­mar­ket, Libé­world», cioè «una losanga rossa con niente die­tro, dieci let­tere che non signi­fi­cano quasi più nulla, a parte il prezzo a cui vogliono mone­tiz­zarle». In altri ter­mini, è «un vero e pro­prio putsch degli azio­ni­sti, con­tro Libé­ra­tion, la sua sto­ria, la sua reda­zione, i suoi valori», «but­tare fuori i gior­na­li­sti per tenersi il bel logo e mone­tiz­zare la testata», com­menta un redattore.

L’idea degli azio­ni­sti è difatti di con­ser­vare il logo della testata nell’edificio molto par­ti­co­lare di rue Béran­ger, un garage dove ha sede la reda­zione in cui si passa da un piano all’altro attra­verso una rampa, dotato di un magni­fico ter­razzo da cui si vede tutta Parigi. Per gli azio­ni­sti il tra­sloco della reda­zione è «ine­lut­ta­bile». Forse si spo­sterà ai bordi di Parigi, vicino al rac­cordo péri­phé­ri­que. Difatti uno degli azio­ni­sti, Bruno Ledoux, che non è altro che il pro­prie­ta­rio della sede di rue Béran­ger, pos­siede immo­bili per uffi­cio a Bagnolet.

Come il mani­fe­sto, Libé­ra­tion aveva già vis­suto una crisi dif­fi­cile nel 2006, un anno dopo l’arrivo di Eduard de Roth­schild, chia­mato dall’allora diret­tore Serge July per sal­vare le finanze del gior­nale. Nel 2011–2012 i conti erano tor­nati all’equilibrio. Ma il 2013 si è chiuso in rosso. La dif­fu­sione del quo­ti­diano è calata del 15% ed è ora sotto le 100mila copie, ven­dita troppo bassa per giu­sti­fi­care i 290 assunti.

«Libé­ra­tion, come il resto della stampa in gene­rale, deve la sua sal­vezza ai con­tri­buti pub­blici»Gli azio­ni­sti di Libération

Con grande disprezzo, gli azio­ni­sti nella loro let­tera hanno fatto notare ai gior­na­li­sti che vivono solo «gra­zie agli aiuti pub­blici», che in Fran­cia sono con­si­stenti, in nome della garan­zia del plu­ra­li­smo (a Libé­ra­tion arri­vano circa 8 milioni l’anno di finan­zia­menti sta­tali). In Fran­cia — a dif­fe­renza dell’Italia — il con­tri­buto pub­blico all’editoria è gene­ro­sis­simo. E anche qui da qual­che anno è messo in discus­sione, dagli «stati gene­rali della stampa» dell’era Sar­kozy fino a un rap­porto par­la­men­tare, che ha sot­to­li­neato l’inefficienza di aiuti a piog­gia (500 milioni di euro l’anno di aiuti diretti, 1,2 miliardi con quelli indi­retti), che non vanno a chi ne ha più biso­gno per garan­tire il plu­ra­li­smo ma fini­scono in buona per­cen­tuale nelle tasche di impren­di­tori che pub­bli­cano testate di svago.

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