Uomini e donne a tu per tu con la guerra in Afghanistan
Uomini e donne a tu per tu con la guerra in Afghanistan
Dopo La veglia inutile (2008), memorabile romanzo ambientato in Afghanistan nel corso di quella che gli americani hanno chiamato guerra al terrorismo, Nadeem Aslam torna in Oriente e racconta i mesi immediatamente successivi all’11 settembre e all’attacco americano. Ricchissimo di personaggi e storie che si intrecciano, Note a margine di una sconfitta (Feltrinelli) si svolge in Pakistan e in Afghanistan. In una cittadina immaginaria del Pakistan c’è la famiglia di Rohan, un musulmano mite e colto che abita in una ex scuola costruita con la moglie quando era viva, l’edificio è circondato da un meraviglioso giardino e popolato dal figlio Jeo con la giovane sposa Naheed, da Basie (adottivo come il fratello Mikal), coniugato con un’altra figlia di Rohan, Yasmine. Attraverso le vicende della famiglia, il lettore scoprirà la vita quotidiana nel Paese non coinvolto dagli attacchi, capirà come, dopo la caduta di Kabul, progressivamente si inaspriscano gli stati d’animo e le azioni, e vedrà le conseguenze della guerra su Rohan e i suoi figli. Sono loro, Jeo e l’adottivo Mikal, a portare la narrazione in Afghanistan, sulla scorta di un primo tragico imbroglio. Partiti per prestare aiuto ai feriti, vengono venduti dai servizi segreti pakistani ai talebani come carne da martirio. Mikal sopravvive all’attacco contro la fortezza dei terroristi, passando di mano in mano, di atrocità in atrocità.
Se ne La veglia inutile la brutalità degli uomini e la bellezza della natura erano talmente intrecciate da essere indissolubili, qui al gusto ricercato per la magnificenza del creato, l’autore unisce una raffinatezza paragonabile nel narrare i sentimenti. Aslam scrive molto a ridosso dell’animo umano non solo per mostrare che cosa significhi vivere in «un Paese ingenuo e crudele», ma anche per immergere il lettore nella mentalità islamica. «Un seguace di Allah non riconosce il caso» e il romanzo si attiene a questa logica: quasi tutto è significante, molto è simbolo e spesso, nel contempo, segno premonitore. Così, quasi in apertura, il «venditore di indulgenze di uccelli» stende le sue reti tra i rami del giardino ma anziché tornare a liberare i volatili sparisce, lasciando le povere bestie ad agonizzare tra i fili. Rohan, arrabbiato, immagina la loro paura, la sofferenza. Consegneranno a Naheed le spoglie di Jeo mentre la ragazza, presa a liberare gli uccelli, ha tra le braccia un airone mortalmente ferito al collo.
Il quarto romanzo di Aslam è lussureggiante di immagini potenti — cavalli che erompono dalla terra, uomini che si salvano dal congelamento incendiando i resti di elicotteri sovietici — ma non si pensi a un pastiche neo-orientalista. Nonostante un apparato metaforico occasionalmente sovrabbondante, l’autore ha grande padronanza della pagina, che è mossa da una evidente ricchezza compositiva. Pensieri, ambienti e azioni sono accuratamente ricostruiti, potenziati da riflessioni, credenze, tradizioni, evocazioni storiche dei fasti e delle sconfitte dell’Islam, oltre all’attualità che entra brutale e richiama le innumerevoli invasioni subite dal territorio, a partire da quella di Alessandro Magno fino ai russi.
L’effetto, all’inizio, è quasi caleidoscopico; così, per esempio, apprendiamo in successione che Allah non ignora mai le preghiere degli orfani e che i kalashnikov ora sono venduti con lo sconto di devozione a chi decide di unirsi alla jihad. C’è un continuo variare dei piani narrativi, un sguardo teso a cogliere aspetti significativi che rapidamente si fondono in un affresco d’insieme.
Note a margine di una sconfitta nasce da una domanda sul decennio iniziato nel settembre 2001 e finito con le primavere arabe, dall’intenzione di provare a capire che cosa è successo e come sia potuto accadere, unita alla consapevolezza di quanto poco sappiamo. Tant’è che la maggior parte dei personaggi subisce e reagisce a eventi che non comprende. La vicenda dello stesso Mikal, ossia di colui che fa procedere la narrazione, è quella di un uomo qualunque coinvolto suo malgrado nel Grande Gioco.
«La storia è il terzo genitore», così inizia il libro. E l’intero romanzo è un continuo richiamo alle ragioni del singolo, inerme di fronte alla logica massificante di ciò che chiamiamo Storia. Già a pagina 12 vien fatto notare come l’attacco alle Twin Towers e la risposta americana siano riconducibili al medesimo ragionamento: «Non esistono persone innocenti in una Nazione colpevole». Lo stesso accade nella testa di molte persone. Mostrare come le idee agiscono sugli uomini è uno degli obiettivi del testo. Perciò lo scrittore tanto si spende nel dare al lettore un quadro variegato e completo del pensiero islamico, incarnandolo nei diversi personaggi e calandolo fin dentro la logica del romanzo. Da qui anche i richiami alla cultura musulmana. Ad esempio, la casa di Rohan che con il suo splendido giardino è di fatto un mausoleo alla memoria dell’amata, come fu l’oggi celebre Taj Mahal per Shah Jahan che lo fece erigere. Ma nel caso di Rohan il ricordo di Sofia rappresenta anche il nodo che confligge interiormente con il suo credo religioso. Un altro riferimento è la sofferta, appassionata, assoluta storia d’amore tra Naheed e Mikal. Procede sulla falsa riga di una narrazione punjabi del XVIII secolo, ma potrebbe benissimo evocare l’intensità dell’amore di Majnun per Layla. Un amore luce che quasi si trasfigura nel divino, un amore grazia esattamente come le bellezze del creato che affiancano l’abominio nel racconto.
Pensieri, credenze… Il titolo originario del romanzo era Il giardino dell’uomo cieco . Qualcuno perderà la vista, ma accecati dalle idee sono molti. In un simile clima, anche la dirittura morale è rischiosa. Lo dimostra l’ultima parte del romanzo, un puntuale e nel contempo onirico racconto d’azione, che diventa l’incubo in cui perdersi per via di un senso di colpa, insensato in tempo di guerra.
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