? Cui Jian con tromba e cappellino d’ordinanza
Botti di Capodanno. Il padre del rock cinese ha detto “no” allo show televisivo più visto della Cina e del mondo intero, perché volevano cambiare il testo del brano manifesto che eseguì nel 1989 per gli studenti di piazza Tiananmen, poco prima che arrivassero i carri armati
? Cui Jian con tromba e cappellino d’ordinanza
Botti di Capodanno. Il padre del rock cinese ha detto “no” allo show televisivo più visto della Cina e del mondo intero, perché volevano cambiare il testo del brano manifesto che eseguì nel 1989 per gli studenti di piazza Tiananmen, poco prima che arrivassero i carri armati
Wo cengjin wen ge buxiu ni heshi gen wo zou, ovvero «te l’ho chiesto all’infinito, quando verrai via con me». È l’attacco di una canzone che ogni cinese conosce e saprebbe cantare, sempre. Ne sanno l’intonazione, la strofa, il successivo coro, il titolo (tradotto in inglese come nothing to my name, dal cinese yi wu suouyou, che in italiano potrebbe essere «uno che non ha niente»). Ma più di tutto sanno chi l’ha cantata e la canta ancora, chi ne è l’autore: Cui Jian, il padre del rock cinese.
Il 798 è uno degli spazi artistici che seppero fare di Pechino una moderna meta del design, di forme d’arte contemporanee. All’inizio fu una sperimentazione: togliere dalle grinfie dello Stato uno spazio industriale e trasformarlo in un grande museo all’aperto. Un paio d’anni fa, al termine di una esposizione, sul piccolo palco arrivò lui, Cui Jian. Cappellino d’ordinanza, improvvisò un mini concerto, gratuito. Il pubblico era in delirio, c’era di tutto: giovani, vecchi, bambini, poliziotti, camerieri dei ristoranti vicini, stranieri. Non era ancora arrivato il momento cinese dello smartphone, quindi tutti guardavano solo lui, anziché i propri scatti improvvisati. Poi quelle prime note, squarciarono il pubblico. Tutti presero a cantare, con un trasporto che solo quel tipo di canzoni può dare. Cui Jian bloccò il suo gruppo e disse qualcosa, come «certo che la conoscete davvero tutti questa, sarà per quello che sono vent’anni che mi chiedono di suonare solo questa». Si fece una risata e regalò al pubblico un secondo motivo per ricordare, da capo. Yi wu suoyou è più di una melodia, di parole, di cori e significati: è un simbolo.
Per il suo autore fu l’inizio del rock in Cina, quando la suonò per la prima volta nel 1986 in televisione. Ma la performance più clamorosa e indelebile nella storia della musica cinese e non solo fu quella che Cui Jian tenne in Tienanmen, nel 1989, poco prima che i tank mandati dal grande vecchio Deng Xiaoping, per niente rock, soffocassero nel sangue quella clamorosa protesta. E la canzone di Cui Jian divenne altro: memoria, ricordo, lacrime, vite spezzate e soprattutto un intimo e significativo modo di ricordare quanto non può essere detto: tutti stavano con quella piazza, tranne quei grigi funzionari chiusi nei palazzi del Partito.
Una canzone talmente significativa per la memoria collettiva da avere ancora oggi un destino maledetto. Cui Jian infatti è stato invitato al Gran Gala di Capodanno della televisione cinese. Proprio in questi giorni cominciano i festeggiamenti che transiteranno i cinesi nell’anno del cavallo e il Gran Gala è un appuntamento fisso: le famiglie, intorno a tavole imbandite di cibo e su cui scorrono fiumi di grappa, assistono al momento di riunione per eccellenza. La festa della luna, antico sortilegio di una società rurale che benediva e invitava a futuri raccolti, è ancora oggi un momento di riunione familiare, a testimonianza della forza delle tradizioni dell’ex Celeste Impero. Il Gala è uno show tra il trash e il pop, una sorta di Fantastico italiano che fu, con star e stelle locali ed è lo show più visto del pianeta. Quest’anno era stato invitato anche Cui Jian, estromesso dal mondo musicale nazionale dopo la sua performance nel 1989, ma ormai considerato un’icona della musica cinese (su youtube si trovano video di live insieme ai Rolling Stones e tanti altri artisti internazionali e nel 2013 è stato anche in Italia, al premio Tenco).
Il «padre del rock» si dice avesse accettato, mettendo in scaletta proprio la canzone simbolo di quegli anni. Il 2014 sarà il 25mo anniversario del massacro di Tienanmen (4 giugno 1989) e ai responsabili della Propaganda della tv di Stato deve essere sembrata una richiesta rischiosa. Quindi è stata respinta. Il vecchio leone Cui Jian, non ha battuto ciglio e ha comunicato che avrebbe rifiutato l’invito. «La potenziale collaborazione non ha funzionato», ha spiegato ai media la portavoce del cantante. Secondo quanto riportato dal quotidiano della capitale, il Beijing News l’artista avrebbe rifiutato di «cambiare le parole» della canzone, spiegando quello stupore con cui il mondo della musica aveva accolto l’invito tv a colui che ancora oggi viene considerato un simbolo di libertà e ribellione.
Le ragioni del colpo ai cuori cinesi, dato dalla canzone di Cui, la spiegò lui stesso in un’intervista al The Indipendent nel 2005: «All’epoca la gente era abituata a sentire le vecchie canzoni rivoluzionarie e nient’altro, così quando mi hanno sentito cantare un testo in cui dicevo cosa volevo io, in quanto individuo, è stato il massimo. Quando cantarono quella canzone, era come se stessero esprimendo ciò che sentivano nel loro profondo».
Da quel momento per Cui Jian si sono aperte anche le strade del successo. Si dice abbia venduto più di 10 milioni di dischi, ma non è stato un percorso facile. Nel 1990 si presentò sul palco durante i concerti con una benda rossa sugli occhi. Una simbologia che perfino i vecchi mufloni del Partito compresero al volo e gli venne limitato il raggio d’azione. Concerti solo in luoghi piccoli, insignificanti rispetto alle potenzialità del mercato cinese. «Non ho mai pensato che mi potessero arrestare, ha detto, perché anche tra i funzionari, ho sempre creduto ci fosse qualcuno capace di apprezzare la buona musica». Nel 1990 il suo tour Rock’n Roll sulla via della nuova Lunga marcia (Xin Changzheng lushang de yaogun) – dal nome del suo primo vero album uscito nel 1987 – viene improvvisamente interrotto. La riabilitazione arriverà oltre un decennio dopo, nel 2003: a Pechino arrivano loro, i Rolling Stones. E Cui Jian avrebbe dovuto aprire il concerto. Una soddisfazione e un via libera da parte della autorità. Il concerto in realtà non si svolse, causa epidemia della Sars, ma la «lunga marcia del rock» cinese era ormai iniziata.
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