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Fiat. Lo storico Marco Revelli “Il silenzio del governo lascia senza parole”

“Il silenzio della politica è assordante”. Marco Revelli, classe 1947, torinese, storico e sociologo, da sempre attento all’evoluzione di quella che fu la Fabbrica italiana automobili Torino, non è stupito dalla notizia che la nuova Fiat Chrysler Automobiles avrà sede in Olanda, pagherà le tasse a Londra e si quoterà a New York. Torino non è menzionata.

“Il silenzio della politica è assordante”. Marco Revelli, classe 1947, torinese, storico e sociologo, da sempre attento all’evoluzione di quella che fu la Fabbrica italiana automobili Torino, non è stupito dalla notizia che la nuova Fiat Chrysler Automobiles avrà sede in Olanda, pagherà le tasse a Londra e si quoterà a New York. Torino non è menzionata.

Era ampiamente prevedibile, quello che è davvero preoccupante è che il governo non se ne preoccupa. Il suo silenzio lascia senza parole.
Per il premier la sede è una questione secondaria, conta l’occupazione.
La questione fiscale non è assolutamente irrilevante. Mentre si tartassano le famiglie, c’è un colosso industriale e finanziario che si sposta altrove. È un grosso cespite che se ne va, una gigantesca fuga di capitali. E poi sull’occupazione viene da ridere.
Si riferisce alla cassa integrazione?
Gli impianti produttivi italiani sono per tre quarti svuotati, Mirafiori lo è per otto decimi. Non hanno più un ruolo produttivo. Non serve a nulla che il sindaco Fassino si senta rassicurato dal fatto che esista ancora uno stabilimento torinese. É una finzione, perché sono inutilizzati. La Cig in quasi tutti gli stabilimenti è solo la conseguenza di una scelta fatta a monte.
Quale?
L’abbandono delle produzioni, e presto di quasi tutto quello che ancora resta a Torino. A questo punto il problema è anche un altro. Il corpo dell’azienda, in Italia, è morente; il cervello va fuori; prima o poi anche il cuore lo seguirà. Sta già avvenendo.
Che cosa è rimasto in Italia?
La progettazione, il design, tutto quello che è legato al lavoro intellettuale. Tutto questo ha sempre avuto un ruolo molto importante a Torino. La tecnologia è già in parte migrata in America, inevitabile che anche il resto finisca lì.
La politica se n’è accorta tardi?
Il passo compiuto ieri è quello definitivo. Ma gli alibi, per gli ingenui, erano già saltati molto tempo fa. Non c’era bisogno di un atto formale per capire che la Fiat non è più italiana. Non lo era già da un pezzo. Almeno dal piano industriale del 2010.
Si riferisce a “Fabbrica Italia”?
Quando Marchione lo annunciò, chiese l’anima ai suoi operai. Oggi, dopo quasi quattro anni molta parte di quel piano è evaporata.
Sergio Marchionne ha definito l’atto di nascita di Fiat Chrysler, il risultato più importante della sua carriera.
Il clima di festa dei vertici dell’azienda è comprensibile. Come ha spiegato Marchionne, erano almeno cinque anni che perseguivano questo progetto. Stupisce che lo stesso clima sia condiviso da una parte del mondo politico italiano.
Si riferisce al Pd?
Non solo. Ma certo il sostanziale silenzio dei democratici è emblematico. La sinistra non esiste più, nessuno di questi ha a cuore gli interessi degli operai.
Che cosa avrebbe potuto fare il governo per incidere sulle scelte di un gruppo industriale privato?
Quello che è stato fatto in tutti gli altri paesi. Dall’amministrazione Obama in America, alla Francia, alla Germania, tutti hanno sostenuto l’industria automobilistica. La Fiat era uno degli ultimi campioni industriali del Paese. E lo abbiamo lasciato andare via per mancanza di idee, di senso di responsabilità e di una cultura moderna.

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