Sovraffollamento. In 173 al posto di 100. Lo dice il X Rapporto nazionale di Antigone. Il 26,9% dei detenuti ha una condanna minore di 3 anni. Tra gli stranieri sono il 37,9%. E il 65,4% delle donne
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Le carceri scoppiano ma l’amnistia può attendere

Sovraffollamento. In 173 al posto di 100. Lo dice il X Rapporto nazionale di Antigone. Il 26,9% dei detenuti ha una condanna minore di 3 anni. Tra gli stranieri sono il 37,9%. E il 65,4% delle donne

Sovraffollamento. In 173 al posto di 100. Lo dice il X Rapporto nazionale di Antigone. Il 26,9% dei detenuti ha una condanna minore di 3 anni. Tra gli stranieri sono il 37,9%. E il 65,4% delle donne

La «pre­po­tente urgenza sul piano costi­tu­zio­nale e civile» pesa ancora, due anni e mezzo dopo, come un maci­gno sulla cre­di­bi­lità dello Stato ita­liano, come dimo­strano i dati dell’Osservatorio Anti­gone pub­bli­cati ieri nel X Rap­porto nazio­nale sulle car­ceri. In uno spa­zio ade­guato ad ospi­tare al mas­simo 100 dete­nuti ce ne sono 173; uno su quat­tro è tos­si­co­di­pen­dente e uno su cin­que è stra­niero. E a lavo­rare è solo un recluso su sei. Con­di­zioni disu­mane e degra­danti che pro­du­cono altro cri­mine, con la reci­diva che schizza al 57%. E morte: dall’inizio dell’anno sono dece­dute in car­cere 99 per­sone di cui 47 sui­cidi (23 stra­nieri) e 28 per cause ancora da accer­tare. Come nel caso di Alfredo Liotta, morto in una cella del car­cere di Cava­donna a Sira­cusa dopo aver perso 40 chili di peso in tre mesi. «Nell’indifferenza gene­rale», denun­cia Anti­gone. Da quel primo monito di Gior­gio Napo­li­tano, dun­que, poco o nulla è cam­biato, tranne un paio di decreti chia­mati erro­nea­mente «svuo­ta­car­cere» e le ultime — più sostan­ziali – norme varate dal con­si­glio dei mini­stri all’inizio della set­ti­mana. E tranne il tempo che ormai volge al ter­mine per l’Italia se vuole evi­tare di affo­gare nelle san­zioni euro­pee che potreb­bero scat­tare dal 28 mag­gio pros­simo, ter­mine ultimo impo­sto dalla Corte Edu di Stra­sburgo a causa del trat­ta­mento riser­vato nel nostro Paese alle per­sone recluse.

E come nell’estate del 2011, Marco Pan­nella, da cui il Capo dello Stato attinse allora ispi­ra­zione per lan­ciare il suo primo grido d’allarme sulle con­di­zioni deten­tive, da qual­che giorno è tor­nato in scio­pero della fame e della sete. Tra meno di una set­ti­mana sarà pure di nuovo alla testa della Terza Mar­cia di Natale per l’amnistia e l’indulto indetta dai Radi­cali: un appun­ta­mento tutt’altro che rituale, molto par­te­ci­pato anche quest’anno da espo­nenti poli­tici di tutti gli schie­ra­menti, tranne che da leghi­sti e gril­lini, ma che pure non rie­sce a bucare l’indifferenza poli­tica, e non solo per il «boi­cot­tag­gio media­tico» lamen­tato da Pan­nella. Eppure la pre­si­dente della Camera, Laura Bol­drini, è otti­mi­sta: «Il pre­si­dente Napo­li­tano ha fatto un mes­sag­gio molto chiaro alle Camere sulla situa­zione delle car­ceri. C’è stato un decreto, ci sono dei dise­gni di legge, credo che arri­ve­remo pre­sto a segnali e fatti con­creti», ha detto ieri rispon­dendo a chi le chie­deva della pos­si­bi­lità di appro­vare per tempo un prov­ve­di­mento di amnistia.

In effetti il decreto legge appro­vato mar­tedì scorso dal Cdm con­tiene alcune inte­res­santi novità che vanno nella dire­zione delle riforme strut­tu­rali richie­ste dalla Corte dei diritti umani. Prima tra tutti l’introduzione del col­le­gio del Garante nazio­nale dei dete­nuti, una figura richie­sta da anni e che ci porta più vicini all’Europa anche se al momento non è pre­vi­sta coper­tura finan­zia­ria e rimane qual­che dub­bio sul fatto che a nomi­nare i suoi com­po­nenti sia lo stesso Con­si­glio dei mini­stri. Impor­tante è anche la pic­cola modi­fica alla legge Fini-Giovanardi che tra­sforma lo spac­cio di lieve entità da cir­co­stanza atte­nuante a fat­ti­spe­cie auto­noma di reato, punito per­ciò con pene infe­riori (la deten­zione mas­sima passa da 6 a 5 anni) e di con­se­guenza l’immediato affi­da­mento in prova per motivi tera­peu­tici. Lo sconto di pena per la libe­ra­zione anti­ci­pata, inol­tre, passa da 45 a 75 giorni a seme­stre, ma senza auto­ma­ti­smi: a deci­dere, caso per caso, sarà sem­pre il magi­strato di sor­ve­glianza. Infine, molto rile­vante è il prov­ve­di­mento che per­mette l’avvio della pro­ce­dura di iden­ti­fi­ca­zione dei dete­nuti stra­nieri diret­ta­mente in car­cere, evi­tando così l’illegale reclu­sione degli ex dete­nuti nei Cie. In que­sto modo si acce­le­rano anche i prov­ve­di­menti di espul­sione dei cit­ta­dini extra­co­mu­ni­tari. E si allunga l’elenco dei reati per cui è pre­vi­sto il rimpatrio.

Misure che però, nell’insieme, sono rite­nute insuf­fi­cienti dal sin­da­cato auto­nomo di poli­zia peni­ten­zia­ria Sappe: «Non chia­ma­teli svuota-carcere – dice il segre­ta­rio Donato Capece – Saranno infatti pochis­simi i dete­nuti in pos­sesso dei requi­siti neces­sari per uscire dai peni­ten­ziari, meno di 3 mila: un numero asso­lu­ta­mente incon­si­stente rispetto agli oltre 64 mila dete­nuti oggi pre­senti in strut­ture costruite per ospi­tarne circa 40 mila (in realtà sono 37 mila, secondo i dati di Anti­gone rico­no­sciuti anche dalla Guar­da­si­gilli Anna­ma­ria Can­cel­lieri, ndr). E la media degli ingressi dalla libertà negli isti­tuti peni­ten­ziari è circa 1.500 per­sone». E se il 40% dei dete­nuti è in attesa di giu­di­zio defi­ni­tivo, ricorda Anti­gone che il 26,9% è recluso per una con­danna infe­riore a 3 anni. Un dato che sale al 37,9% se si guarda ai soli stra­nieri, e che diventa abnorme per le donne: il 65,4%.

Davanti a que­sti numeri, il motivo per cui biso­gna ancora aspet­tare per un prov­ve­di­mento di amni­stia e indulto– a parte il no di Renzi –è uno dei tanti imper­scru­ta­bili misteri italiani.

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