Pintor segreto

AMORI, COMMEDIE E TRADUZIONI NELLE CARTE RITROVATENuovi documenti e un convegno ricordano l’intellettuale morto settanta anni fa

AMORI, COMMEDIE E TRADUZIONI NELLE CARTE RITROVATENuovi documenti e un convegno ricordano l’intellettuale morto settanta anni fa

Prima santino della Resistenza, poi voltagabbana sedotto dalla divisa nazista. Ma mai un uomo con i suoi tormenti, anzi un giovane di vent’anni, il ragazzo irrequieto che scopre l’eros e insieme la vanità del vivere, affascinato dalle donne ma anche dal destino di morte, in febbrile attesa del riscatto per sé e per una generazione. È un Giaime Pintor intimo e sconosciuto che affiora da diverse scatole di documenti inediti. In una cartellina ora conservata all’Archivio di Stato è raccolto il diario integrale, con le pagine che furono tagliate nel 1978 dall’edizione einaudiana. Da una cantina di casa Pintor spunta l’officina artistica rimasta finora in penombra: un dramma filosofico in due atti, probabilmente scritto nel 1941, e una riduzione cinematografica de La figlia del Capitano di Puskin che però non piacque al regista Mario Camerini. E in una cassa a lungo conservata dal nipote Giaime junior è conservata la traduzione di La dittatura di Carl Schmitt, di cui si aveva notizia ma mai ritrovata: un lavoro che era stato pensato per la nuova collana einaudiana di diritto e politica progettata con Cesare Pavese. Materiali preziosi, molto eterogenei, che restituiscono la poliedricità di un genio enigmatico, soggetto in Italia a fortune alterne.
È capitato a molti dei suoi coetanei, quelli cresciuti tra le due guerre. Sono i figli della crisi, prima appiattiti sull’antifascismo, poi sul fascismo secondo la nuova vulgata tesa a sostituire l’altra. Nel caso di Pintor, luci e ombre appaiono moltiplicate dal suo profilo impaziente, figura del rischio e dell’inquietudine, «costantemente in movimento » scrisse il fratello Luigi davanti all’irreale inerzia delle sue spoglie, sotto un cielo plumbeo di settant’anni fa. Aveva 24 anni, Giaime, quel 1° dicembre del 1943. Un destino di irrequietezza interrotto da una mina tedesca, ma presto riverberato su altre vite, soprattutto su quella del fratello minore, destinatario del messaggio dall’Oltretomba «che avrei preferito non ricevere ». L’ultima lettera, la bibbia sacra dell’intellettuale engagé.
E da Luigi Pintor occorre ripartire, dai manoscritti in grafia minuta che negli anni Novanta decise di affidare a una giovane ricercatrice fiorentina. Ne sarebbe scaturita nel 2007 la bellissima biografia Il costante piacere di vivere (Utet). «Non potrò mai dimenticarlo», racconta ora Maria Cecilia Calabri. «Vedi, mi disse, il problema è che Giaime è stato una figura originalissima, di difficile comprensione. Come lo collochi? Sembra più quasi l’eroe sottile di un romanzo, che andrebbe interpretato
chiave poetica». Le narrò anche un aneddoto della madre Adelaide che, invitata in un liceo a parlare dell’eroe, suggeriva di pensare a Giaime come a un ragazzo. A non ridurre la sua vita a un gesto estremo.
Un ragazzo di vent’anni, che ancora oggi continua a parlare attraverso le sue pagine più private, quelle espunte dall’edizione einaudiana del
Doppio Diario.
«Nell’avvertenza», continua Calabri, «si dichiarava che il testo era stato pubblicato integralmente, rinunciando a pochissimi frammenti appena abbozzati. In realtà compaiono numerosi tagli che sacrificano non solo il Giaime più intimo, il suo complicato rapporto con le donne, ma anche la ricchezza delle sue frequentazioni, tra Balbo e Pavese, Mila e Dionisotti. E anche la sua intensa amicizia con l’ebreo Mischa Kamenetzsky, con cui condivideva lo pseudonimo di Ugo Stille». Brani di natura diversa, anche riflessioni politiche dell'”agente
volante” einaudiano, che la Calabri in parte già include nella sua biografia, ma che saranno da lei reintegrati completamente nella nuova edizione critica di Doppio Diario.
E per la prima volta, su iniziativa della soprintendente Monica Grossi, l’autografo sarà esposto a Cagliari, dove oggi e domani Pintor viene ricordato in un convegno al Teatro Lirico.
Che fa Giaime? «Giaime spazia », rispondevano gli zii Pintor che lo ospitavano a Roma. Giaime spazia anche nella vita sentimentale, alla ricerca di un senso che fatica a trovare. Le storie occasionali gli lasciano il disgusto «per un inutile spreco di tempo e di energie». A Perugia, nell’estate del 1940, prima di partire per la guerra, l’incontro con due donne importanti. Filomena
d’Amico, l’amica colta con cui avrebbe stretto un sodalizio intellettual-sentimentale. E Ilse Bessel, una giovane tedesca di Heidelberg che sarà il suo grande amore, ispiratrice delle ultime poesie e dedicataria del libro di traduzioni di Rilke. Bionda, sguardo vivace, una figura slanciata dalle lunghe gambe. «Era una giovane deliziosa », avrebbe ricordato la cugina Lia Pinna Pintor. «Io mi sentivo un po’ impacciata perché lei era un tipo disinvolto, molto elegante, ma di un’eleganza sportiva. Giaime era molto affascinato». Si accende qualcosa che con Filomena resta assopito. Le righe qui accanto raccontano l’esaurimento di quel rapporto sentimentale, non però di un’amicizia.
Ma nelle carte trovate più di recente da Cecilia Calabri non c’è solo il Giaime innamorato. Ecco il drammaturgo in erba che, sotto il titolo di Tempo perduto, compone “Dialoghi sulla vita dell’uomo”. Un’opera teatrale in due tempi, che anticipa alcune riflessioni della sua ultima lettera. «Si tratta di un genere per lui inusuale», commenta la biografa, «ma una vocazione teatrale è già evidente in alcune lettere da Besançon. E anche da allievo ufficiale aveva scritto Tragedia al corpo di guardia su una rivistina del Reggimento». In Tempo perduto però è la morte a dominare sulla scena, non come prodotto dell’azione – che in realtà è sostituita da un dialogo in un salotto – ma come evento in tragica connessione con la vita. «C’è un passaggio in particolare che richiama il suo testa in mento politico, là dove un personaggio dice: non è vero che chi muore lascia un vuoto, dopo un po’ tutto si rimette a posto. E se il morto tornasse al mondo tu non sapresti dove metterlo. Non c’è più posto».
Giaime lo dirà meglio nell’ultima lettera a Luigi: «Una delle poche certezze acquistate nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili. Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi. E tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che i morti seppelliscano i morti». Per Luigi non sarà così. L’avrebbe sorpassato negli anni, diventandone il fratello maggiore. Ma senza mai riuscire a seppellirlo, a riempire quel posto lasciato vuoto.

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