Lo sgretolarsi dell’idea rivoluzionaria nelle tante voci di piazza Tahrir

«La rivoluzione è iniziata in Iran», si apre così La primavera egiziana (di Giuseppe Acconcia, Infinito edizioni, pp.157, euro 13), e non è cosa ovvia per datare la primavera, cui il libro è dedicata.

«La rivoluzione è iniziata in Iran», si apre così La primavera egiziana (di Giuseppe Acconcia, Infinito edizioni, pp.157, euro 13), e non è cosa ovvia per datare la primavera, cui il libro è dedicata.

Non è un entusiasmo per la rivoluzione a muovere il suo autore, pure è qualcosa che gli assomiglia, e che giunge a configurazione nella tessitura formale del libro, priva tuttavia di un’espressa intenzione letteraria. Poco si dice di ciò che ha fornito l’impulso a questo viaggio: dalla Turchia oltre le terre curde, in Persia, o in osservatori inusuali e rivelatori nella Damasco prima della precipitazione; una narrazione per blocchi, il viaggio, le attese, i giorni di Tahrir, la topografia della città, quotidianità e fatti eccezionali, quotidianità che resiste a sommovimenti fra vecchie e nuove abitudini e rituali, i basculanti sufi e gli sgozzamenti sacrificali del Bahran; i nessi fra situazioni, le emergenze e le ragioni secondo evidenze, per essenziali note informative, le interpretazioni affidate a voci dalle situazioni stesse, gente comune, studenti, religiosi, esponenti politici e del nuovo sindacalismo, soldati. Ciò che merita rilievo lo guadagna in uno con la cronaca: lo sgretolarsi di un ordine, le crepe nei vecchi assetti, le divisioni nella Fratellanza, le tensioni nella Salafya, la dissidenza nell’esercito, gli itinerari della militanza di base, il farsi e disfarsi dello spazio simbolico della protesta, l’uso della violenza di stato poliziesca e militare contro di essa, e sullo sfondo Al-Azhar e Obama, l’ospite presidente e gli accordi con Israele.

È come se il decorso della primavera egiziana riceva luce da un dettaglio: l’esercito garante della transizione, che controlla tutto (società, produzione e aiuto internazionale), che recluta da tutte le classi. In verità, era poco fondata la prospettiva di una transizione gestita dai militari. Rivoluzione giovanile, liberale, sociale, islamica e militare: pur messe insieme non ne fanno una. Né serve né è utile richiamare quanto Marx ricordava a Kugelmann al tempo della Comune: non si tratta, tornasse l’occasione, di far passare da una mano ad un’altra la macchina militare e burocratica ma nello spezzarla, tale essendo la condizione preliminare di ogni rivoluzione popolare nel continente . Si intenderà come sia stato chiuso il ciclo delle lotte che in piazza Tahrir ha avuto il suo riferimento simbolico e reale.

Colpo di stato dei militari lo si è chiamato e tale effettivamente è; non però come interruzione di un decorso formalmente democratico, contro cioè l’ordine della Fratellanza, che pure si originava da una consultazione elettorale, ma per caratterizzarsi come una stretta preventiva contro la radicalizzazione dei conflitti, misura di rilegittimazione e compattamento dell’esercito e del sistema di potere che vi si incardina. Una Rivoluzione bloccata , l’ennesima scrive Acconcia. A meno che non sia l’idea di rivoluzione di cui si dispone ad essere messa in gioco dalla primavera egiziana.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password