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L’ultimo Montalbán

A dieci anni dalla scomparsa del giallista ecco l’indagine mai pubblicata in Italia Il più celebre investigatore catalano sulle tracce di una spia dei servizi segreti post-franchisti da ritrovare “né vivo né morto”
A dieci anni dalla scomparsa del giallista ecco l’indagine mai pubblicata in Italia Il più celebre investigatore catalano sulle tracce di una spia dei servizi segreti post-franchisti da ritrovare “né vivo né morto”

La prima volta che ho incontrato Manuel Vázquez Montalbán cucinava e parlava di politica. L’ultima anche. La prima, a metà degli anni Ottanta, c’era moltissima gente, nella casa, e tuttavia la quantità di pietanze che continuavano a uscire dalla cucina faceva pensare che sarebbero arrivati nuovi ospiti a decine. Non arrivò nessun altro. «Cucini sempre per un reggimento, Manolo », gli disse qualcuno. «Sarà tutto più buono domani», rispose lui con quel suo sorriso timidissimo, sempre custode di buone intenzioni. Fu la sera in cui lo sentii dire che Pepe Carvalho doveva essere per forza un detective privato; sotto la dittatura franchista non avrebbe potuto essere un poliziotto: «Un poliziotto onesto non sarebbe stato credibile ». Risero tutti, convinti. L’ultima volta, non molto tempo prima che partisse per il viaggio da cui non è tornato, gli ospiti erano pochi e il cibo un po’ meno, più sofisticato. Si parlava a tavola della crisi del Psoe, di certi politici locali corrotti. In quindici anni era passato dal ripassare le fave al modo della nonna a certi complicati soufflé. Eccellente, il soufflé, secondo una ricetta del suo amico Ferran Adrià. Comunque, rispose cortese ai complimenti, «non c’è nulla al mondo di meglio di un soffritto. Se non esistesse il soffritto non avrei potuto in vita mia scrivere una riga».
Ancora oggi, se volete avere notizie di Manolo che non siano quelle dei ritagli di giornali e dei convegni in suo nome, dovete andare in un luogo dove si legge e si scrive, certo, ma insieme si cucina e si beve. Dovete andare alla Barceloneta, in calle de la Sal numero 5, nella libreria di Paco e Montse. Negra y criminal, si chiama. Un buco, una stanza piccola piccola ma dietro una cucina – una vera cucina come quelle delle case, col forno e tutto – e davanti la strada dove tenere il piatto con una mano, il bicchiere con l’altra, parlare. È lì che suo figlio, Daniel Vázquez Sallès, ha presentato il suo Ricordi senza ritorno, lessico familiare, a pochi eccellenti amici e a molti fortunati turisti capitati per caso: è lì che Daniel ha ricordato l’odore perpetuo del soffritto, in casa, perché Manolo metteva sul fuoco il soffritto a ogni ora del giorno, dall’alba a notte fonda, giacché solo quel movimento lento e quel profumo antico lo rilassavano abbastanza da farlo tornare a scrivere, ancora e ancora. «Un impulso nevrotico, con una vena malinconica. Una perpetua nostalgia».
Pepe Carvalho è il primo investigatore di storie e di anime che, oltre a mangiare, cucina e che sempre intreccia le sue indagini – anche in questo
Luis Roldán né vivo né morto – a ricette che somigliano a riti propiziatori, formule magiche, soluzioni e terapie. E dunque sì, non c’è dubbio che Montalbán sia stato moltissimo altro: è stato un poeta e un esattore di polizze assicurative, un dissidente politico e un autore di canzoni, un carcerato e un giornalista superbo, ha riscosso le rate per le spese dei funerali e tenuto comizi, ha scritto novelle, perorato cause e tenuto conferenze, ha ritirato premi in mezzo mondo. Però poi sempre, tornato a Barcellona, riprendeva a raccontare la storia che si scrive in cucina. Una storia grande, semplice.
«Aveva sempre detto che avrebbe voluto morire al Bulli, il ristorante. Lì, di fronte al mare, nel luogo dove è stato felice». È lì, nelle acque di cala Montjoi, che si sono mescolate alle conchiglie e alle alghe le sue ceneri. Davanti al suo tavolo abituale, a un piattino di fuet già affettato e un bicchiere di rosso, il mondo impazzisce tutto attorno ma qui no. Qui sentiamo se davvero questo bicchiere, come dite, ha il profumo del legno e del vento di terra. Alla vostra, che conoscete il dolore ma date tregua alla pena.

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