Il prefetto di Roma: solo i figli sapranno il nome del carcere in cui è sepolto
Il prefetto di Roma: solo i figli sapranno il nome del carcere in cui è sepolto
ROMA — «La tomba di Priebke rimarrà un segreto fino a quando i due figli non chiederanno di sapere dove è sepolto». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro spiega così la decisione di inumare nella massima riservatezza la salma dell’ex capitano delle Ss nel cimitero di un carcere italiano. Una scelta rivelata ieri da Repubblica e approvata dalla comunità ebraica. «Credo sia una soluzione dettata dalle esigenze individuali delle istituzioni italiane che invitano al silenzio. È comunque una persona deceduta, e io voglio accettare e rispettare questo invito», dice Renzo Gattegna, presidente dell’Ucei (Unione comunità ebraiche italiane). Anche Riccardo Pacifici, presidente della comunità romana, sostiene la via del silenzio: «Non c’è altro da aggiungere
ormai sul boia delle Fosse Ardeatine. Ci auguriamo che l’oblio lo avvolga per sempre e che resti perpetua la memoria delle vittime da lui causate. Ora rimanga per sempre ignoto il luogo della sua sepoltura. Oggi lui ha da morto un numero sulla sua lapide, mentre i nostri fratelli ebrei avevano un numero da vivi sul braccio» commenta ancora Pacifici, aggiungendo il plauso alle autorità — prefetto, governo, sindaco di Roma, Vicariato — che hanno «lavorato per non rendere la morte di questo essere vivente un fatto celebrativo». «Come sindaco — commenta Ignazio Marino — mi sono posto il problema di una città gravemente colpita che avrebbe dovuto accogliere il corpo di una persona che ha ucciso così tanti innocenti: di fronte a tanta violenza e brutalità non potevo non fare ciò che ho fatto e cioè oppormi alla sepoltura di quella persona». «I tedeschi hanno ragione a non volerlo, a Berlino hanno un museo bellissimo e una linea dura sul negazionismo. La soluzione mi pare giusta, anche se il mio dolore non passa mai». Giulia Spizzichino, 87 anni, nella strage delle Fosse Ardeatine ha perso sette familiari, e altri 19 sono stati uccisi dai nazisti. «Io l’avrei bruciato e ne avrei buttato le ceneri in un fiume, come fanno in Israele, ma la soluzione trovata è ragionevole. Proprio ieri rivedevo le cassette del primo processo quando fu assolto». La signora Spizzichino non pronuncia mai il nome di Priebke. «Ricordo la sua faccia soddisfatta, rideva, sembrava che ci sfottesse in quell’aula di tribunale. È stato un boia fino in fondo» conclude, e la voce sembra commossa.
«È morto Eichmann, è morto Kappler, è morto anche Priebke. La storia li ha condannati, consegniamoli all’oblio. Si poteva fare
ancora meno rumore, seppellire il boia senza i problemi che si sono creati ad Albano. Bastava il silenzio, quello che serve adesso. Certo, se lo portavano in Germania era meglio» aggiunge Angelo Sermoneta, che quel 24 marzo 1944 perse tre familiari, e che gestisce il Circolo Ragazzi del ’48, anima della piazza del ghetto romano.
Paolo Giachini, avvocato dell’ex Ss che ha ospitato per 15 anni in casa ai domiciliari, sceglie di non parlare con Repubblica.
Alle agenzie racconta di aver incontrato ieri il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e «d’accordo con le autorità ho deciso di non svelare i particolari della sepoltura del signor Priebke». Il legale attacca la Curia «che si è comportata male. Ho dei documenti dai quali si evincono i rapporti che Erich Priebke ha avuto con alti prelati della Chiesa». Quelle carte sono parte dell’eredità del boia, assieme ai video che prima o poi Giachini diffonderà.
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