È MORTO come ha vissuto. Da nazista superbo e stizzoso. Non da ex. Senza vergognarsi, né pentirsi. Scendere a patti con l’umanità non era roba per lui. Nemmeno una briciola di pietà per gli orrori suoi e della guerra. Quando lo scovarono (per caso) sulle Ande, a Bariloche, era un uomo di 81 anni libero dai rimorsi.
È MORTO come ha vissuto. Da nazista superbo e stizzoso. Non da ex. Senza vergognarsi, né pentirsi. Scendere a patti con l’umanità non era roba per lui. Nemmeno una briciola di pietà per gli orrori suoi e della guerra. Quando lo scovarono (per caso) sulle Ande, a Bariloche, era un uomo di 81 anni libero dai rimorsi.
QUASI fiero di essere un assassino. Non aveva timidezze, anzi si vantava e mimava l’atto con la pistola. «Sì alle Fosse Ardeatine ho ucciso. Ho sparato, era un ordine. Una, due tre volte. Insomma, non ricordo, che importanza ha? Ero un ufficiale, mica un contabile. Non ci interessava nemmeno tanto la vendetta, a via Rasella i militari morti erano del Tirolo, più italiani che tedeschi. Ma Kappler fu inflessibile, costrinse anche il cuciniere a sparare. Fucilammo cinque uomini in più. Uno sbaglio, ma tanto erano tutti terroristi, non era un gran danno. Dice di no? Non sia ostinata, parliamo d’altro: a Roma c’è ancora quel ristorante con vista sui Fori? Ah che nostalgia, che profumi, a noi ufficiali tedeschi ci trattavano benissimo. Mi dispiace anche non poter più andare all’Arena di Verona. E purtroppo non ho più incontrato Kappler, al carcere di Gaeta non ebbi il permesso e quando mi recai a casa sua, la moglie mi disse che era morto. Qui i wurstel sono buoni, c’è la birra, ma Roma è un’altra cosa».
Repubblica fu la prima a intervistarlo, nel maggio ’94. Era ancora molto disponibile.
Non fuggiva da un passato di sangue, per lui l’Italia era una memoria culinaria: non gli ebrei e i civili mandati a morire, ma le serate da dolce vita. Herr Priebke a Bariloche si trovava bene: c’era il lago Nahuel Huapi, le montagne con la neve, i salmoni da pescare. E soprattutto: nessuno si ostinava a ricordare. Si faceva chiamare Erico, aveva occhi azzurri, era direttore della scuola «Primo Capraro» dove non si parlava male di Hitler e dove i film cattivi, quelli sui campi di concentramento, non venivano proiettati.
L’ha ribadito anche nella sua intervista-testamento: le camere a gas non sono mai esistite, anche perché il veleno si sarebbe sparso nei dintorni e avrebbe fatto male alla popolazione tedesca, troppo invasivo, il processo di Norimberga era stato una buffonata, vincitori che umiliano i vinti, condanne retroattive, sì aveva visto i lager, non erano male, c’erano le cucine e perfino i bordelli per certe esigenze, se si moriva è perché la guerra affama ed è un disastro, senza parlare
della stupida propaganda degli alleati, tutta colpa dei film di Hitchcock, regista dell’horror e del falso. I tedeschi cattivi? E gli altri e le malefatte dei russi? Lui non era antisemita, ma insomma gli ebrei si sa sono taccagni, strozzini, usurai, bastava leggere Shakespeare, l’olocausto era un’invenzione per ottenere il risarcimento danni. Soldi, soldi, anzi Israele era un racket di estorsioni, non era mica il solo a pensarla così. Ezra Pound l’aveva detta meglio: tra uno strozzino ebreo e uno ariano non vedo differenza. Lui dello sterminio aveva saputo solo alla fine e non poteva crederci. Sì la persecuzione degli ebrei c’era stata, era da condannare, ma quella vera però, non quella inventata.
Si riteneva superiore alle sciocche richieste di estradizione. «Gli italiani sono pasticcioni, faranno qualche errore nella procedura legale, ho scelto come mio avvocato Pedro Bianchi, persona di ultradestra, ha difeso molti militare argentini e ha fatto assolvere Videla. Buon segno, no?». Quando lo portarono in commissariato a prendere le impronte digitali, continuò a lamentarsi dell’inefficienza argentina: «Potevano fare meglio, sono approssimativi, mi hanno macchiato le dita. A noi tedeschi non sarebbe successo». La solita arianità, come marchio di fedeltà ad un’idea del mondo che non ammetteva ammaccature. Si compiaceva: «Tutti i poliziotti erano sorpresi, mi dicevano, come è quarant’anni che sta qui e ora vogliono arrestarla?».
Priebke e la moglie vivevano all’ultimo piano di un sanatorio di loro proprietà. Appartamento modesto, tre stanze al quarto piano, divano spelacchiato, tre orsetti di pezza. Lì arrivavano in processione tutti gli altri cittadini tedeschi di quella che sembrava la sezione all’estero delle SS: i vari Wolfgang, Herbert, che lo consigliavano di fuggire in Germania. Per Priebke tutta la faccenda era noiosa come il ronzio di una mosca, sì aveva sbagliato a vantarsi del suo passato davanti a una tv americana, glielo aveva detto dagli Usa anche il figlio, ma non era l’unico nazista di Bariloche, gli altri suoi vicini di casa, con i gerani sui balconcini, non erano mica santi. «Basta ingigantire fatti senza importanza. A proposito, per caso ha portato con sé una buona bottiglia di rosso italiano? Giusto un goccio, che mia moglie è un po’ giù e sono preoccupato per lei. E non si dica che io vivo nascosto, in clandestinità. Perché dovrei?». Forse perché è un criminale di guerra? «Ma nessuno mi hai mai cercato, se il Vaticano volesse darmi una mano, potrebbe chiarire molte cose, mi hanno aiutato a trasferirmi qui, tutti noi abbiamo girato liberi in Italia. Ma lo sa che un mio compagno, sposatosi con una ragazza romana, ha anche fatto la comparsa in un film? L’hanno preso nella parte di un soldato tedesco, dicevano avesse la faccia giusta». E giù risate, sugli sciocchi italiani, così bravi in cucina, ma per il resto farlocchi. Proprio non capiva perché si fossero fissati con lui. Nelle guerre si muore, alle Fosse Ardeatine la polizia aveva sbagliato i conti e vabbé ne avevano ammazzati qualcuno di più, quanti erano?, di sicuro nessuno se ne ricordava, perché avrebbe dovuto farlo lui? Meglio guardare avanti. Appunto, si poteva appurare se in quel ristorante ai Fori si mangiava ancora fuori?».
Se questo è un uomo, verrebbe da dire.
0 comments