L’esplorazione della memoria

VITE IN VERSI

Un incontro con la poetessa Elena Fanajlova, che domani sarà alla Sapienza per presentare «Immagini di Roma», una raccolta di testi di autori russi che hanno soggiornato nel nostro paese

VITE IN VERSI

Un incontro con la poetessa Elena Fanajlova, che domani sarà alla Sapienza per presentare «Immagini di Roma», una raccolta di testi di autori russi che hanno soggiornato nel nostro paese

Dal 2000 la Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund (Jbmff), la Fondazione nata da un’idea di Josif Brodskij, assegna regolarmente borse di studio a poeti e artisti russi per soggiorni di formazione di tre mesi a Roma, «la patria dell’anima», come la definì Nikolaj Gogol’. Nel corso degli anni, il premio è stato assegnato ai più interessanti poeti della generazione che aveva fatto i suoi primi passi nell’underground e che aveva iniziato a pubblicare nella seconda metà degli anni ’80 (grazie all’apertura della perestroika), per poi rivolgersi anche ai rappresentanti della generazione successiva, che avevano intrapreso la carriera letteraria all’inizio degli anni ’90, dopo la fine dell’Unione Sovietica.
Si è così delineato, grazie ai diversi approcci di questi poeti formatisi con visioni del mondo differenti, un quadro variegato in cui sono rappresentate le più significative correnti (postmodernismo, concettualismo, neoclassicismo, neosentimentalismo) e scuole poetiche (Mosca, San Pietroburgo, Odessa, Jaroslav’, Voronezh). Una particolare «carta geografica» che riflette attraverso la parola poetica le trasformazione occorse nella società russa.
Timur Kibirov, Sergej Stratanovskij, Michail Ajzenberg, Elena Schwarz, Vladimir Strochkov, Nikolaj Bajtov, Boris Chersonskij, Marija Stepanova, Dmitrij Vedenjapin, Aleksandr Beljakov sono venuti nel nostro paese, hanno soggiornato all’American Academy al Gianicolo o all’Accademia francese a Villa Medici, alla Foresteria di Villa Mirafiori della Sapienza o in un appartamento di Trastevere preso in affitto per l’occasione, e hanno avuto così la possibilità di vivere la nostra quotidianità ma anche i nostri monumenti, i capolavori artistici e la natura pittoresca, e di riappropriarsi di quel rapporto spontaneo fra cultura russa e italiana che era stato bruscamente interrotto durante il periodo sovietico.
Intrecci e risonanze
Risultato di questi soggiorni è una serie straordinaria di testi in cui si viene disegnando una nuova immagine di Roma, divenuta «una vera ossessione» per alcuni di loro. Il passato viene visto in funzione del presente, coesiste insieme ad esso, rendendolo vivo e attuale. Mercati, strade e parchi cittadini si intrecciano a chiese, fontane, cupole e obelischi, dando l’immagine di una civiltà che si sviluppa non solo nello spazio ma anche nel tempo.
Come ha scritto Michail Ajzenberg, Roma esercita un’influenza travolgente sul viaggiatore, facendolo transitare non dal presente al passato, ma dall’oggi al presente storico, cioè a un presente che ha più di duemila anni.
La valenza di questi testi è duplice: da una parte ricostruiscono e attualizzano l’immagine della città eterna nella poesia russa contemporanea, facendo piazza pulita di banalità e cliché, dall’altra aprono un dialogo con la poesia italiana contemporanea, offrendo nuove possibilità di scoperta reciproca. Il riconoscimento poetico si esplica tramite la traduzione, porta a un incrocio di culture che si rispecchiano l’una nell’altra, si influenzano e si arricchiscono. Come la poesia italiana tramite le sue traduzioni in russo ha consentito alla poesia russa di esprimersi in anni in cui quest’ultima era costretta al silenzio e all’emigrazione, così ora la traduzione italiana di questi testi, raccolti con il titolo Immagini di Roma – un omaggio al titolo del famoso libro dello storico d’arte Pavel Muratov – e pubblicati sulla rivista Poeti e poesia (N. 29/2013), trasmigrano verso la loro «patria dell’anima», rendono onore alla cultura italiana, consentendole di conoscersi e riconoscersi attraverso uno sguardo «altro», geograficamente lontano.
Presentate il 23 ottobre alla Sapienza (Villa Mirafiori, aula IV, ore 16,30) dalla presidente del Jbmff, Maria Brodsky e dal poeta Elio Pecora, direttore della rivista che le accoglie, di queste Immagini di Roma parleranno, fra gli altri, il saggista e traduttore Evgenij Solonovich, Elena Fanajlova e Sergej Gandlevskij.
La grande vitalità e varietà di modi espressivi che anima la scena poetica russa fin dagli anni ’60 ha fatto sì che a una prima generazione di letterati, quella dei poeti che hanno esordito nell’ambito del samizdat, ne seguisse una seconda altrettanto brillante. Sergej Gandlevskij appartiene alla prima generazione, è maturato in ambito sovietico e privilegia nei suoi componimenti l’approccio personale, autobiografico. Poeta psicologo, tratta motivi eterni come la morte, la vecchiaia e l’infanzia e privilegia il cortile, lo spazio sovietico per eccellenza, per raccontare con ironia la quotidianità sovietica. Considerato un classico della poesia contemporanea, ha fatto parte della prima giuria per l’assegnazione delle borse di studio della Jbmf, ha vinto numerosi premi letterari ed è noto al pubblico italiano per aver partecipato al Festival delle Letterature di Mantova nel 2011.
Elena Fanajlova rappresenta invece la generazione successiva, ha esordito nel periodo della tarda perestrojka e proviene dalla provincia, da Voronezh, la città fissata nell’immaginario poetico russo dai versi di Osip Mandel’stam, cui Stalin proprio qui concesse un periodo di tregua prima del nuovo arresto che lo condurrà alla catastrofe finale. È questo il suo secondo viaggio a Roma, il primo risale a una decina di anni fa, come turista, e ne approfitta ora per esplorare tutti quegli angoli che le erano sfuggiti durante il suo primo soggiorno.
Incontriamo l’autrice in un bel pomeriggio di ottobre sulla terrazza Caffarelli al Campidoglio e, davanti a quel panorama, racconta di sé, della sua poesia, del suo lavoro.
Poetessa, critico letterario, Elena Fanajlova scrive versi dalla fine degli anni ’80, ha pubblicato cinque raccolte e ha vinto numerosi premi letterari, fra cui il premio Andrej Belyj, creato nel 1978 dal samizdat leningradese, che tuttora consiste in una bottiglia di vodka, una mela e un rublo.
Lavora dal 1995 come giornalista per radio «Svoboda» (la famosa radio dell’Europa libera, che negli anni ’70 era diventata, sotto la direzione di Petr Vajl’, la voce del dissenso sovietico), una professione che ha avuto un forte impatto contenutistico sulla sua poesia: i viaggi in Afghanistan, a Sarajevo, a Beslan, visitata dopo la terribile strage, la spingono verso una visione «politica» del mondo, a farsi interprete di temi duri, ad assumersi il compito di svegliare le coscienze dei suoi contemporanei. Un ruolo, questo del poeta fustigatore delle coscienze, che Fanajlova rivendica con orgoglio perché la letteratura, sottolinea con fermezza, non è un passatempo. Dopo settanta anni di indottrinamento sovietico, dopo essere stati martiri e profeti, gli intellettuali russi del XXI secolo affermano il loro diritto di essere solo poeti ma questo non deve significare rifugiarsi nel privato, senza vedere quello che accade intorno, quindi le è parso necessario mostrare che la poesia deve parlare anche di politica.
Ora, dice, la situazione sembra cambiata: migliaia di persone si sono radunate nei meeting sulla piazza Bolotnaja, hanno agitato i nastrini bianchi con su scritto «Per una Russia senza Putin», si sono assunte un ruolo da protagoniste e non deve essere necessariamente il poeta a raccontare la storia. Questo cambiamento di registro si percepisce nel suo ultimo poeta Lena e la folla, pubblicato nel 2011 e appositamente tradotto per l’incontro romano del 23 ottobre, Fanajlova segnala con un tono colloquiale, intimo, lo stretto rapporto che si instaura fra il poeta e il suo lettore, curioso di conoscere come nascono i versi. Lena, la poetessa e Lena, la commessa del negozio di alimentari dove fa i suoi acquisti tornando dal lavoro, parlano di come nasca la poesia, ma nonostante le apparenti somiglianze, le due donne hanno poco in comune. Il poeta non si identifica con la folla, a cui si rivolge e da cui vorrebbe essere compreso, ma la poesia rimane «complessa, anche quando si finge semplice».
Le voci del ricordo
Il lavoro fisso nella redazione moscovita di radio «Svoboda» ha anche comportato il trasferimento della poetessa a Mosca, l’abbandono di Voronezh, la città natale che ha influenzato soprattutto i suoi esordi. Il primo libro di Osip Mandel’stam che Fanajlova racconta di aver letto è stata la famosa edizione tedesca bilingue delle poesie del poeta tradotte da Paul Celan.
Per lei, si è trattato di una rivelazione: leggendo per la prima volta i versi su Voronezh ha capito in che modo si possa descrivere lo spazio urbano. Successivamente, con avidità ha letto tutto quello che le era possibile trovare di Mandel’stam: l’edizione americana delle opere, i dattiloscritti su carta velina che giravano di mano in mano. Solo dopo si è appassionata della poesia di Marina Cvetaeva, di Josif Brodskij.
Anche nelle opere del prosatore Andrej Platonov, altro figlio celebre di questa città di provincia che si trova al centro di una fertile zona agricola, ha trovato descrizioni assolutamente stranianti di luoghi che ben conosceva e questa è stata per lei una grande lezione. Da entrambi ha imparato molto, ha capito come si poteva scrivere.
Ora Fanajlova ha cambiato il suo meccanismo di scrittura: dopo la rielezione di Putin si è rifugiata momentaneamente in quel privato che confina nel pubblico. Compito della poesia è la memoria del passato, il ricordo di storie familiari che vanno tramandate alle generazioni successive. «Ho avuto due nonne – racconta ancora – una era filo bolscevica e l’altra no, per cui quando i bolscevichi hanno prevalso, una nonna si è rifugiata nel silenzio e non ha più espresso pubblicamente le sue opinioni». La poetessa desidera dare una voce alle narrazioni, alle mille storie ascoltate da bambina quando viveva in campagna dai nonni, appartenenti a una generazione cui si sentiva più vicina ed emotivamente più legata che a quella dei suoi genitori, nati durante la guerra e impegnati a costruire il socialismo.
Le sue opere più recenti sono un lungo poema, Lena e Lena, in cui il dialogo con il suo alter ego continua su temi assolutamente privati, e altri brevi testi lirici ma per farne un libro le ancora manca il finale. Forse lo troverà a Roma, perché già il terzo giorno dopo il suo arrivo, passeggiando per Piazza S. Maria in Trastevere, ha sentito l’impulso di scrivere di getto una breve poesia, non sulla città eterna, ma sulla condizione dell’individuo in Europa. Un bisogno di tornare al tema politico?

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