Vo Nguyen Giap – Foto: Giornalettismo.com
Ho incontrato per la prima volta Giap quando avevo 19 anni. Ero da poco iscritto al primo anno di storia contemporanea, al liceo nessuno ci aveva raccontato la storia fuori dai confini dell’Europa e quel curioso nome, Giap appunto, al quale rispondeva scodinzolando il socievole Beagle di una coppia di vicini di casa, ancora non mi diceva nulla. Spero che nessuno si offenda per l’accostamento, perché quel nome nelle intenzioni dei padroni era un serio omaggio al generale Vo Nguyen Giap e al sottoscritto servì per capire che era il caso di colmare più di un buco di una storia sempre e solo raccontata dai colonialisti.
Vo Nguyen Giap – Foto: Giornalettismo.com
Ho incontrato per la prima volta Giap quando avevo 19 anni. Ero da poco iscritto al primo anno di storia contemporanea, al liceo nessuno ci aveva raccontato la storia fuori dai confini dell’Europa e quel curioso nome, Giap appunto, al quale rispondeva scodinzolando il socievole Beagle di una coppia di vicini di casa, ancora non mi diceva nulla. Spero che nessuno si offenda per l’accostamento, perché quel nome nelle intenzioni dei padroni era un serio omaggio al generale Vo Nguyen Giap e al sottoscritto servì per capire che era il caso di colmare più di un buco di una storia sempre e solo raccontata dai colonialisti.
Quel nome nei mesi successivi trovò un senso e un volto, quello scomparso il 4 ottobre scorso all’età di 102 anni del generale Vo Nguyen Giap, il generale rivoluzionario di un esercito povero, che vinse contro tre imperi coloniali e che oggi è considerato assieme ad Ho Chi Minh una delle figure più importanti e significative della storia del moderno Vietnam. È morto in un ospedale militare della capitale, dove ha trascorso gran parte degli ultimi quattro anni sempre mantenendo fede alla sua fama di combattente. Nell’ultimo decennio di vita, infatti, non ha risparmiato critiche e duri attacchi alla politica vietnamita per la mancanza di libertà, l’eccesso di burocrazia e lo sfruttamento selvaggio, a discapito della popolazione, delle miniere di bauxite negli Altipiani centrali.
Questa sua lealtà ad un governo realmente “popolare” e non “populista”, a dispetto degli onori di facciata, gli è costato un progressivo allontanamento dalle alte sfere del potere che forse non hanno mai ben digerito il suo tentativo di perseguire un comunismo non dittatoriale senza ansie di poltrone. Nato il 25 agosto del 1911 da una famiglia di contadini ad An Ka, in una regione povera del Vietnam centrale, riuscì grazie agli sforzi del padre ad andare a scuola, dove lesse per la prima volta gli opuscoli di Ho Chi Minh e da dove venne ben presto espulso per aver organizzato delle proteste studentesche. Negli anni ’30 si iscrive al Partito comunista indocinese (in quegli anni illegale), studia giurisprudenza, incontra Ho Chi Minh nel febbraio del 1941, entra ed esce dalla galera per le sue idee politiche, fino a scegliere la guerriglia con trentaquattro compagni. “O la va o la spacca” è il primo motto della guerra vietnamita antigiapponese. Giap il rivoluzionario è uno che ci sa fare, fa partecipare tutti. La guerra di popolo è la guerra del popolo e i giapponesi proprio non la riescono a capire. Loro se ne vanno (e uno!) e arrivano i francesi. Il 28 maggio 1948, dopo una rapida carriera militare iniziata 8 anni prima, assume il ruolo di primo generale dell’esercito comunista del Vietnam. Nel 1954 compie l’impresa più famosa della sua carriera, con la storica umiliazione dell’esercito francese nella piana di Dien Bien Phu quando riesce a tagliare le linee transalpine, provocandone il collasso e mettendo fine alla guerra di Indocina (e due!). Entra così nella storia vietnamita e nella mitologia di una sinistra che ha visto in questo Che Guevara asiatico l’artefice di una riscossa anticolonialista che lo consacrerà definitivamente icona del movimento pacifista americano proprio quando si troverà davanti l’esercito a stelle e strisce. Il “Napoleone rosso” (come lo definì il Time) o il “Vulcano coperto di neve” (come lo chiamavano i suoi soldati) guidò, infatti, l’esercito del Vietnam del nord contro gli Stati Uniti e il Vietnam del sud dal 1960 al 1975. Sue furono le scelte della guerriglia nella giungla e le geniali soluzioni logistiche come il Sentiero di Ho Chi Minh, una via di comunicazione che attraverso Cambogia e Laos (neutrali sulla carta) permetteva di rifornire e collegare le truppe nord-vietnamite impegnate nei campi di battaglia del Sud. Una risorsa rivelatasi poi fondamentale per determinare l’esito del conflitto e la conseguente vittoria dell’esercito di Hanoi, artefice della riunificazione del Paese sotto un’unica bandiera nel 1975 (e tre!).
Smessi i panni del condottiero, egli ha ricoperto i ruoli di ministro della Difesa e delle forze armate, oltre che esponente di primo piano del comitato centrale del Partito comunista e vice-premier del governo vietnamita, ma con la morte di Ho Chi Minh, Giap fu gradualmente emarginato dalla nuova burocrazia militare. Dopo aver avuto un ruolo nella deposizione di Pol Pot, sanguinario leader della vicina Cambogia, negli ultimi anni si è più volte scontrato con le nuove leve della leadership di Hanoi, accusandole di promuovere politiche sin troppo “filo-cinesi” a discapito dell’indipendenza territoriale ed economica del Paese. Tra le altre, la battaglia contro il programma di estrazione della bauxite negli Altipiani centrali, il cui sfruttamento a vantaggio di Pechino ha provocato critiche di ambienti scientifici e ambientalisti. Questa protesta, espressa alla veneranda età di 98 anni, è stata definita “l’ultima battaglia del generale Giap”. Nel 2009 ha scritto tre diverse lettere al Primo Ministro Nguyen Tan Dung, chiedendo il blocco temporaneo dei progetti di sfruttamento. In un suo intervento al Congresso nel 2006 ha più volte insistito sulla necessità di trasparenza e democrazia e di un’azione decisa contro la corruzione. “Un partito che nasconde i suoi difetti è in rovina – aveva ricordato Giap su un giornale di Stato – un partito che ammette e fa chiarezza sui suoi errori è coraggioso, forte ed onesto”.
Anche per questo Vo Nguyen Giap ha fatto la storia. Di lui il giornalista statunitense Stanley Karnow ha detto: “È un uomo leggendario. Ha plasmato un gruppo di guerriglieri disorganizzati in uno degli eserciti più efficienti al mondo” e Luciano Canfora, nella prefazione a Masse armate ed esercito regolare (ripubblicato nel 2011 in una bella edizione da Sandro Teti Editore) ha aggiunto: “È forse il testimone più significativo del secolo Ventesimo”. A lui si sono ispirate intere generazioni di vietnamiti, soprattutto fra le nuove leve e i gruppi più attivi a favore della democrazia e dei diritti della popolazione: fra questi l’avvocato cattolico Lê Qu?c Quân e la blogger Maria T? Phong, assieme al gruppo di attivisti della diocesi di Vinh, in galera proprio per la loro opposizione alle miniere di bauxite e il crescente “imperialismo” cinese in Vietnam. Non è stato un caso quindi che anche l’americano International Herald Tribunegli abbia dedicato un necrologio a sei colonne, con fotografia e titolo: “Vo Nguyen Giap, un rivoluzionario”. Certo, l’autore del necrologio, Joseph Gregory, non risparmia le critiche a Giap, in primis quella di non tenere in gran conto la quantità di morti che richiedeva alle sue truppe. “Gregory ha ragione comunque, in molti sensi – ha concluso Giulietto Chiesa nel suo personale ricordo al generale Giap – in guerra non c’è pietà, né per il nemico, né per i propri. Basta soltanto tenere a mente le proporzioni: in quella guerra americana, morirono 2,5 milioni di nord e sud vietnamiti, in grandissima parte civili. Due milioni e mezzo contro 58.000. Adesso, reso onore al giornalismo americano per questa pagina stupefacente, ricordiamo anche i due milioni di morti iracheni, e i 200 mila morti afghani. E i 300 affogati di Lampedusa, che fanno parte dello stesso bilancio di ingiustizia e diseguaglianza. È questo il mondo che vogliamo?”. No! E forse per questo la storia di Giap è ancora così attuale tanto che qualcuno, pensate, per non dimenticarla e non farla dimenticare omaggia ancora di questo nome il miglior amico dell’uomo, o come il collettivo Wu Ming, ne fa un libro Giap! Tre anni di narrazioni e movimenti, un’analisi rivoluzionaria sul mondo globalizzato (e quattro!).
Alessandro Graziadei
P.S. Sia chiaro: per noi “Giap” non è tanto la Grande Personalità, il Nome Famoso, l’Eroe, il “battilocchio” la cui contemplazione distoglierebbe lo sguardo dai processi collettivi e di lungo corso. Al contrario, per noi “Giap” è molteplicità, “Giap” sta per le miriadi di persone che, ciascuna a suo modo, hanno contribuito alla decolonizzazione, alla lotta planetaria contro razzismo e colonialismo, alla presa di coscienza degli spossessati di vaste aree del mondo. Per noi “Giap” è il secolo, la parte del XX secolo che vale la pena continuare a interrogare, con spirito critico ma senza revisionismi cialtroneschi. – Wu Ming –
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