Riforme. Parla il costituzionalista della ‘via maestra’: nel Pd pochi dissensi, spero che la consapevolezza cresca. E ora la nostra battaglia entrerà nel merito Il professore Rodotà: «Strappo all’art.138, la maggioranza si è assottigliat
«Abbiamo chiesto una riflessione, non fatto le barricate». «Sui diritti dialogo con il corteo del 19»
Riforme. Parla il costituzionalista della ‘via maestra’: nel Pd pochi dissensi, spero che la consapevolezza cresca. E ora la nostra battaglia entrerà nel merito Il professore Rodotà: «Strappo all’art.138, la maggioranza si è assottigliat
«Abbiamo chiesto una riflessione, non fatto le barricate». «Sui diritti dialogo con il corteo del 19»
Professor Rodotà, partiamo dal voto al Senato sullo «strappo» – parole sue – all’art. 138 della Carta. Per soli cinque voti al Senato sono stati superati i due terzi dei sì. Non sarà possibile fare il referendum.
Partiamo dal dato numerico: si è visto in maniera evidente che sulla modifica dell’art.138 il consenso parlamentare è molto modesto. La maggioranza non è stata compatta. Per ragioni di convenienza politica?, per schermaglie interne al Pdl? Sta di fatto che su questo passaggio grave non si può dire che ci sia una forte convinzione parlamentare. Bastava che pochi uscissero dall’aula o si astenessero perché il risultato fosse capovolto. E chi dice che una parte del Pdl ha votato strumentalmente conferma che ogni passaggio delle riforme potrà essere caratterizzato da questa strumentalità. Questa non è una maggioranza cui può essere affidata la riforma.
La parte del Pd a cui voi della ‘via maestra’ vi eravate rivolti, a parte rare eccezioni, non ha risposto.
La strada scelta ha attutito la sensibilità costituzionale all’interno del Pd. Non voglio fare polemiche personali, ma sbaglia chi derubrica la modifica del 138 a passaggio tecnico. Non è così: è un fatto senza precedenti. La riforma di Berlusconi e quella dell’art.81, buone o cattive che fossero, sono state fatte rispettando la regola di garanzia.
C’è chi obietta: è una procedura sospesa solo per questa volta.
È un’obiezione strumentale. Ci si batte per il voto segreto sulla decadenza di Berlusconi con l’argomento che non si cambiano le regole a partita cominciata, ma in questo caso non vale? E dire che è stato rispettato «lo spirito» di quell’articolo non sta in piedi: se cambia la procedura si introduce una logica diversa. Si crea un precedente. Un’altra maggioranza, con intenti ancora peggiori di quella attuale, potrebbe dire: l’abbiamo già fatto.
Un’altra obiezione: i costituenti hanno stabilito che se l’approvazione avviene con i due terzi del parlamento il referendum non serve. I due terzi sono stati raggiunti.Chiedevate di contraddire un principio voluto dai costituenti?
Qui c’è un difetto di informazione: le maggioranze di garanzia previste dalla Costituzione facevano riferimento ad un parlamento eletto con il proporzionale. La presenza di tanti gruppi era garanzia al fatto che nessuno effettuasse forzature. Noi siamo passati a leggi elettorali maggioritarie che hanno fatto venire meno questa garanzia, informale ma di sostanza. Ricordo che all’indomani della riforma costituzionale di Berlusconi fu Oscar Luigi Scalfaro a dire: dobbiamo proporre una modifica perché quella maggioranza, in regime maggioritario, è troppo bassa. Voglio aggiungere un’altra considerazione: si sostiene che bisogna riaprire canali di comunicazione fra cittadini e istituzioni, e invece introduciamo modifiche costituzionali senza che i cittadini abbiano subito la possibilità di dire la loro.
La senatrice Puppato, presente alla vostra manifestazione, poi ha votato sì e ha detto al manifesto: i costituenti avevano più fiducia nel parlamento dei costituzionalisti della ‘via maestra’.
Appunto, la considerazione che Puppato non fa è che in filigrana della Costituzione c’è la legge proporzionale. Oggi alla Camera con il 25 per cento si prendono 340 seggi: ma dov’è la garanzia? Da parte nostra verso le camere c’era una forte speranza, più che fiducia: un parlamento consapevole di come è stato costituito deve lasciare ai cittadini la possibilità di intervenire. Non abbiamo fatto le barricate, ma invitato i parlamentari a riflettere.
La stessa richiesta fu rivolta nel corso della modifica dell’art.81, l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
E anche allora non fu ascoltata. I cittadini sono stati tagliati fuori in un passaggio che secondo alcuni altera di molto la logica costituzionale. Ci dicono che quella era una questione di sostanza, e forse avevamo ragione, ma questa di oggi invece è una questione di procedura: no, è la garanzia delle garanzie.
Quello di mercoledì è stato in fondo un nuovo voto di fiducia alle larghe intese. Tant’è che chi ha votato no da destra, lo ha fatto per ‘avvertire’ il governo Letta.
Questo conferma che la riforma è nelle mani di chi la adopera come strumento di guerriglia parlamentare per le faccende interne ai singoli partiti. Come si può affidare la riforma a chi punta a salvare la maggioranza e non guarda al merito?
Vi aspettavate di più da quell’area critica del Pd che invece fatica, tranne poche eccezioni, a praticare il proprio dissenso?
Questi sono affari loro. Per me chi è venuto in piazza il 12 ottobre ha dimostrato che il tentativo di mettere insieme una coalizione sociale – non un partito – è stato percepito anche da chi sta nei partiti, che non l’ha vista come un’aggressione. In piazza c’erano quelli molto critici con le modalità di funzionamento del Pd, che ora possono trarre forza dalla legittimazione che viene dai cittadini. Nel Pd questi parlamentari sono pochi, ma la loro presenza è importante. Speriamo che fra loro questa consapevolezza cresca.
Il presidente Napolitano ha detto: «Per far vivere la prima parte della Costituzione bisogna far vivere la seconda». È d’accordo?
Dipende dalle modifiche. Il rapporto fra la prima e la seconda parte della Carta è una discussione aperta da tempo. La Costituzione non si può tagliare a fette. Modificare la seconda può avere effetti sulla prima. Se per esempio si modifica il procedimento legislativo in modo da diminuire le garanzie, o si interviene sulla magistratura intaccando la sua indipendenza, succede che la prima parte formalmente non è stata toccata, ma sostanzialmente sì. La stessa riforma dell’art.81 agisce pesantemente sulla tutela dei diritti previsti nella prima parte. La mia domanda è: in che modo modificheranno la seconda parte?
Le riforme saranno materia di discussione dei prossimi mesi. Ora Luciano Violante vi ha invitato al dialogo. Accetterete?
Nessuno di noi si è mai chiuso al dialogo. Al contrario, abbiamo cercato di rendere la discussione aperta e libera, lasciando anche spazio adeguato anche ai cittadini. Noi, intendo noi organizzatori della manifestazione ‘la via maestra’, ora lavoriamo a individuare le questioni di merito all’ordine del giorno della commissione dei 42. Benvenuta la disponibilità alla discussione, mi auguro che non ci saranno più le chiusure verificate finora. Soprattutto mi auguro che sia mantenuto il progetto di società che sta dentro la Costituzione. Che è fortemente collegato alla forma di governo.
Dopo la manifestazione del 12 ottobre c’è stata quella del 19, sul diritto all’abitare. C’è un collegamento fra le due piazze?
Il collegamento è nelle cose. C’è stato un tentativo di descrivere quella manifestazione solo come un rischio per l’ordine pubblico. Ma anche un critico molto severo come il giudice Giancarlo Caselli, in alcuni casi giustamente severo sull’uso di metodi violenti, ha messo in evidenza il carattere pacifico e serio di quella manifestazione, che non è stata inquinata da altro. In quella piazza è stato individuato uno dei diritti fondamentali di cittadinanza, quello dell’abitazione. Forse da parte dei manifestanti del 19 ottobre c’è una sottovalutazione dell’importanza delle garanzie costituzionali. Noi, il 12, avevamo come punto di riferimento la necessità di mantenere in piedi il quadro complessivo delle garanzie democratiche: se questo viene incrinato, anche la possibilità di affermare specifici diritti finirebbe limitata. Ma non c’è alcuna incompatibilità fra le due manifestazioni, come qualcuno ha provato a dire. Ci sono affermazioni, scelte di metodo e di agenda che possono non coincidere. Ma il punto è comune.
C’è chi ha detto: quella del 12 ottobre era la manifestazione di chi i diritti li ha, quella del 19 di quelli che non ce l’hanno. Cercherete un dialogo?
Sono sempre sospettoso con letture del genere. La presenza o l’assenza della Fiom non è fatto che possa essere liquidato con leggerezza. La Fiom non difende solo i diritti di quelli che ce l’hanno. Anzi sui luoghi di lavoro fa la battaglia per chi i diritti li ha persi. Evitiamo vecchie polemiche, o ragionamenti che rischiano di essere giochini. Oggi è necessario affermare la dimensione dei diritti in tutta la sua pienezza.
Quale sarà la prossima tappa della ‘via maestra’?
Ci stiamo lavorando. Stiamo prendendo atto delle moltissime suggestioni arrivate dalle molte partecipazioni, individuali e collettive. Ci faremo vivi nei prossimi giorni.
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