Legalità, uno slogan che punta a destra

Non c’è bisogno di avere studiato Hans Kelsen per rendersi conto che una espressione come «la legalità è di sinistra», lo slogan agitato dal sindaco di Firenze contro l’amnistia, rappresenti una gigantesca castroneria. La legalità è l’espressione di un ordinamento vigente, buono o cattivo che sia. Del sistema dell’apartheid così come della democrazia svizzera, la più antica e referendaria d’Europa. La destra, semmai, è solita mostrare maggior pudore nell’arrogarsi il monopolio sulla «legalità», considerandolo forse più «naturale».

Non c’è bisogno di avere studiato Hans Kelsen per rendersi conto che una espressione come «la legalità è di sinistra», lo slogan agitato dal sindaco di Firenze contro l’amnistia, rappresenti una gigantesca castroneria. La legalità è l’espressione di un ordinamento vigente, buono o cattivo che sia. Del sistema dell’apartheid così come della democrazia svizzera, la più antica e referendaria d’Europa. La destra, semmai, è solita mostrare maggior pudore nell’arrogarsi il monopolio sulla «legalità», considerandolo forse più «naturale».

Ma lasciamo perdere le scemenze erette a principio per cercare di mettere in fila una serie di passaggi razionali che perfino Matteo Renzi (più difficilmente Beppe Grillo) potrebbe arrivare a comprendere. Se le carceri di un paese si riempiono all’inverosimile i casi sono due e generalmente compresenti: esiste un livello elevato di ingiustizia sociale e le leggi penali vigenti non sono buone. Basti fare l’esempio di un paese in cui la questione sta esplodendo: gli Stati uniti, dove la popolazione carceraria è sterminata e in grandissima misura di pelle nera. Una circostanza, questa, che è indice di una discriminazione e di uno squilibrio, di ingiustizia sociale e cattive leggi o di una cattiva applicazione delle medesime.
Ma certamente! si affretterà a rispondere il rottamatore, infatti dovremo fare leggi migliori (di sinistra) che non conducano alla superfetazione dello strumento carcerario e all’intasamento dei palazzi di giustizia. Tutto a posto? Niente affatto. Il compito del «buon governo» e di un buon programma politico non è solo quello di delineare un futuro migliore, ma anche quello di porre rimedio ai disastri generati dal passato e che si protraggono nel presente. Questa è la funzione dell’indulto e dell’amnistia. Poiché abbiamo fatto o tollerato pessime leggi che hanno trasformato il sistema penale in uno strumento di tortura, dobbiamo risarcire immediatamente chi soffre questa condizione. In questo paese esiste l’emergenza di tutto: dallo spread all’immondizia. Si interviene o no senza attendere le «grandi riforme strutturali» in tutti questi campi? Nel caso di una condizione umana insostenibile, invece, l’emergenza non sta all’inizio ma al termine di un «percorso» e solo come extrema ratio. Cari detenuti, dice nella sostanza Guglielmo Epifani, rassegnatevi a vivere nel paio di metri quadrati che vi toccano fino a quando avremo condotto a termine, negli ampi spazi della politica, il nostro «percorso». E quando in Italia si dice «percorso» non si parla dell’oggi, né del domani, né del dopodomani.
Si parla però sempre e comunque di campagne elettorali e la questione (qui Berlusconi non c’entra nulla) è che amnistia e indulto sono «impopolari». A dire il vero ci sono stati fatti diventare, a forza di deliri securitari e allarmi sociali inventati di sana pianta da una insistente demagogia bipartisan. E siccome sarebbero impopolari, ci riferisce il sindaco che «parla con la gente» e con la base del suo partito, non sono di «sinistra». Se dovessimo attenerci a questo criterio cosa dovremmo dire delle politiche di austerità, della pressione fiscale, dei sacrifici? Sono forse popolari? C’è da dubitarne e, tuttavia, il Pd difende e pratica queste indigeste misure senza eccessivi patemi d’animo. In nome della «responsabilità», la quale contempla anche qualche deroga alla popolarità. Ma la vita invivibile dei detenuti no, non la contempla. Cosicché si può anche giungere all’infame paragone tra l’amnistia e il condono edilizio. Entrambi «diseducativi», ci avverte il sindaco di Firenze. Come se la demolizione di una veranda abusiva fosse paragonabile alla demolizione di una vita.
Una forza politica non pacificata con lo stato di cose presente non può che sostenere e difendere anche contenuti minoritari. Se non lo capisce Grillo, che si vuole indiscusso interprete e profeta della vox populi digitale, dovrebbe almeno capirlo un partito che di contenuti impopolari ne difende parecchi, anche se soprattutto quelli sbagliati.
C’è un ampio schieramento, quello che da Alesina e Giavazzi arriva fino a Matteo Renzi, che vuole convincerci da un pezzo che «il liberismo (con tutte le sue declinazioni) è di sinistra». Forse dovremmo rassegnarci a lasciargli torcere a piacimento questa parola strapazzata e trovarne di nuove, oppure impegnarci a strappargliela. Due opzioni che sono entrambe legittime. Quel che è certo è che l’ostilità nei confronti dell’amnistia è squisitamente di «destra» nel senso di un potere che non ammette il proprio errore e fa prevalere le proprie prerogative e la propria autoconservazione sulla riparazione delle ingiustizie commesse e che continua a commettere. Questo è il discrimine, questa la linea del fronte. Renzi sembra aver scelto da che parte stare.

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