Contro le larghe intese radicali o riformisti, ma senza le solite casacche

Il crepuscolo del berlusconismo, che segue la condanna del Cav per frode fiscale, va in onda in un paese narcotizzato, in cui – come per un paradosso della storia – i suoi nemici di una vita (almeno la gran parte) sostengono un governo insieme al Pdl.

Il crepuscolo del berlusconismo, che segue la condanna del Cav per frode fiscale, va in onda in un paese narcotizzato, in cui – come per un paradosso della storia – i suoi nemici di una vita (almeno la gran parte) sostengono un governo insieme al Pdl.

Berlusconi, insomma, non viene certo sconfitto da un’alternativa politica. Di fronte al racconto berlusconiano degli ultimi vent’anni, fatto di individualismo e egoismo sociale, la sinistra – radicale e moderata . non è stata in grado di contrapporre un pensiero forte. Non si tratta di una sconfitta passeggera, ma sul terreno dell'”egemonia”.
È questo il quadro in cui si terranno i congressi del Pd e di Sel. Sel si è generosamente messa a disposizione di un processo, che – lungi dall’ennesima somma di sigle – riapra la partita e non costruisca l’ennesimo partito. Nel Pd si è ancora capito troppo poco.
Come ha scritto Goffredo Bettini su questo giornale, nel ‘post-91’ è fallito sia il mito del “liberismo temperato”, sia chi ha tentato generosamente di difendere le identità del ‘900. Questo è il punto cruciale: chi si rinchiude in vecchi totem – come sembrano fare i partiti della sinistra radicale – o in una resa dei conti giustizialista, sarà – se non lo è già – inevitabilmente escluso dal quadro politico. Viceversa, ponendo il meglio delle culture politiche della sinistra alla ricerca di un nuovo pensiero forte si rende giustizia alla loro – alla nostra – storia: nessun politicismo, nessun duello “radicali contro riformisti” ma una contaminazione vera, che si cimenti con il dramma di una generazione stremata dalla precarietà e faccia propria fino in fondo la cultura dei diritti.
Bisogna gettare lo sguardo oltre la palude delle larghe intese – larghi settori del Pd e la stragrande maggioranza del suo popolo è in enorme sofferenza – e sforzarsi di far almeno dialogare i due congressi. La sinistra potrà tornare a vincere solo se saprà farsi interprete della domanda collettiva di cambiamento, che è pure fortemente presente – quanto inevasa – nel paese reale.
Se discutessimo di idee, smettendola di ragionare sulla base delle casacche di ciascuno, scopriremo che forse ci sono le condizioni per (ri)costruire il campo – e magari il nuovo partito – dei progressisti. In questa sconfitta epocale viene anche sepolta una generazione di dirigenti della sinistra italiana: il rinnovamento è dunque la precondizione per la ricostruzione.
L’Europa è il campo di battaglia. È proprio da lì che è venuto l’impulso decisivo prima per il governo Monti e poi per il governissimo. È lì che va riaperta la partita, rifiutando alcune tendenze antieuropee in voga anche a sinistra, partendo da due valutazioni. La prima: le politiche di austerità, ben esemplificate dal fiscal compact, sono fallimentari. Il compito di una forza di sinistra ed europeista è arrestare la spirale provocata dalla crisi: sarebbero necessarie politiche anticicliche, investimenti sui salari e stimoli alla domanda interna, accanto a un sistema fiscale europeo unico. Proprio le scelte – guarda caso – su cui il governissimo è impantanato. La seconda: gli Stati Uniti d’Europa come obiettivo politico, in cui finalmente siano i cittadini a contare e non solo le banche. Il Pse può diventare la casa dei riformismi e dei riformatori, a patto che si apra al contributo di nuove culture, radicali ma europeiste, e superi i residui da “terze vie” anni 90: un campo largo, permeabile a chi vuole cambiare gli equilibri del continente. Le prossime europee sono l’occasione per misurarsi su questi temi. Non facciamocela sfuggire.
*A sinistra per l’Italia

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