La rivelazione del New York Times
Era noto come lo “Schindler italiano”, per aver salvato 5.000 Ebrei dallo sterminio nazista, tanto da essere riconosciuto come un giusto da israele e da essere stato dichiarato martire da papa Giovanni Paolo II. In realtà, lo studio condotto su circa 700 documenti ha fatto emergere che Giovanni Palatucci era invece un collaboratore nazista, tanto da partecipare alla deportazione degli ebrei nel campo di Auschwitz.
La rivelazione del New York Times
Era noto come lo “Schindler italiano”, per aver salvato 5.000 Ebrei dallo sterminio nazista, tanto da essere riconosciuto come un giusto da israele e da essere stato dichiarato martire da papa Giovanni Paolo II. In realtà, lo studio condotto su circa 700 documenti ha fatto emergere che Giovanni Palatucci era invece un collaboratore nazista, tanto da partecipare alla deportazione degli ebrei nel campo di Auschwitz.
Per questo motivo, scrive oggi il New York Times, il museo dell’olocausto di Washington ha deciso la scorsa settimana di rimuovere il suo nome da una mostra, mentre lo Yad Vashem di Gerusalemme e il vaticano hanno iniziato a esaminare i documenti.
La verità sullo Schindler italiano è emersa dopo che i ricercatori del centro Primo Levi hanno avuto accesso a documenti italiani e tedeschi, nell’ambito di una ricerca sul ruolo di fiume come terreno fertile per il fascismo, città dove Palatucci lavorò come funzionario di polizia dal 1940 al 1944.
Stando alla versione accreditata finora, quando i nazisti occuparono la città, nel 1943, Palatucci distrusse i documenti per scongiurare che i tedeschi spedissero gli ebrei di fiume nei campi di concentramento. La sua stessa morte nel campo di Dachau, a 35 anni, avvalorò poi la tesi.
Ma Natalia Indrimi, direttore del centro Primo Levi, ha invece dichiarato che gli storici sono stati in grado di consultare questi stessi documenti, da cui è emerso che nel 1943 fiume contava solo 500 ebrei, la maggior parte dei quali, 412, pari all’80%, finì proprio ad Auschwitz.
La ricerca ha poi fatto emergere che piuttosto che ricoprire la carica di capo di polizia, Palatucci era vice commissario aggiunto responsabile dell’applicazione delle leggi razziali fasciste.
Nella lettera inviata questo mese al museo di Washington, Indrini ha quindi scritto che l’uomo era “un pieno esecutore delle leggi razziali e, dopo aver prestato giuramento alla repubblica sociale di Mussolini, collaborò con i nazisti”.
La sua stessa deportazione a Dachau, nel 1944, non fu determinata dalle sue gesta per salvare gli ebrei, piuttosto dalle accuse tedesche di appropriazione indebita e tradimento, per aver passato ai britannici i piani per l’indipendenza di Fiume nel dopoguerra.
Indrimi ha precisato che “il mito” di Palatucci iniziò nel 1952, quando lo zio vescovo Giuseppe Maria Palatucci raccontò questa storia per garantire una pensione ai parenti dell’uomo. “Giovanni Palatucci non rappresenta altro che l’omertà, l’arroganza e la condiscendenza di molti giovani funzionari italiani che seguirono con entusiasmo Mussolini nei suoi ultimi disastrosi passi”, ha concluso Indrimi nella lettera inviata al museo di Washington.
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