40 anni di Umbria jazz

Compleanno importante per la più frequentata delle rassegne musicali italiane che debuttò nel 1973. Ci racconta la sua storia e i protagonisti Carlo Pagnotta, inventore e animatore della popolare kermesse 40 anni
Compleanno importante per la più frequentata delle rassegne musicali italiane che debuttò nel 1973. Ci racconta la sua storia e i protagonisti Carlo Pagnotta, inventore e animatore della popolare kermesse 40 anni

Umbria Jazz, il festival più popolare e frequentato d’Italia compie 40 anni. E a Perugia, dal 5 al 14 luglio, ha preparato un’edizione degna di un anniversario così importante per una rassegna popolare che non ebbe una partenza molto facile. All’inizio, anche se la musica e i musicisti erano da leggenda e non si pagava il biglietto, i tanti giovani col sacco a pelo del dopo Sessantotto, accampati giorno e notte in pieno centro a Perugia, senza servizi igienici al grido di “musica gratis”, si scontrarono con i pacifici e borghesi umbri e con i tranquilli patiti del jazz provenienti da tutta Italia.
Una storia italiana avvincente, quella di Umbria Jazz, come racconta Carlo Pagnotta, inventore e coriaceo boss del festival che, in forma smagliante, ad agosto festeggia un altro compleanno importante, i suoi ottanta anni. Di professione Pagnotta si definisce “un venditore di cravatte”, in realtà per anni ha gestito un negozio di abbigliamento nel centro di Perugia. Lo abbiamo incontrato a New York, nei camerini del Birdland, dove Paolo Fresu con Uri Caine, il “trio danese” di Stefano Bollani e il Rava Tribe Quintet si sono alternati per sei sere nel celebre club.
Partiamo dall’inizio. Come è nato Umbria Jazz? Pagnotta: «La voglia di fare un festival in Umbria risale agli anni 50. Avevamo un jazz club e sognavamo un festival a casa nostra. Poi sono andato in Inghilterra, ma non ho mai rinunciato all’idea. Nel 1972 faccio una proposta alla Regione, amministrazione di sinistra, che viene approvata, ma con la formula itinerante in diverse città dell’Umbria».
Umbria Jazz debutta il 23 agosto 1973 nello scenario naturale di Villalago di Piediluco, vicino Terni. Sul palco i milanesi Aktuala, precursori della world music, e la big band di Thad Jones e Mel Lewis con l’avvenente, giovanissima cantante Dee Dee Bridgewater. La prima edizione prevedeva altre tre serate, due a Perugia e una a Gubbio che saltò per la pioggia. A Perugia, nella spettacolare piazza IV Novembre, suonarono per la prima volta in Italia i Weather Report e fece molto scalpore la pittoresca esibizione free-esoterica della Solar Arkestra di Sun Ra. L’anno dopo il cast comprendeva, tra gli altri, Gerry Mulligan, uno strepitoso Charles Mingus, la Gil Evans Orchestra, Anthony Braxton, Sam Rivers e Keith Jarrett che, superbo al piano-solo, anticipava nell’incanto della piazza perugina il suo capolavoro “The Koln Concert” del 1975. Continua Pagnotta: «Le contestazioni iniziarono fin dalle prime edizioni. Espropri proletari, casini, non c’era niente da fare. Contestavano i musicisti che non erano d’avanguardia e non si presentavano con le tuniche africane, come Stan Getz o Chet Baker. Invece Sam Rivers era considerato un eroe. Anche se tutto era gratis, protestavano comunque. Più che un festival di musica era diventato un festival per sociologi. Venivano per stare insieme, del jazz non gliene fregava niente. Dal Festival del Parco Lambro era partito un urlo: “Compagni, ci vediamo a Umbria Jazz”. Non si poteva andare avanti così. Abbiamo chiuso nel ’78; abbiamo ripreso nell’82 cambiando formula, c’erano ancora i concerti gratuiti, ma anche a pagamento».
Quando ha capito che Umbria Jazz doveva ampliare le prospettive e invitare anche musicisti non jazz? «Nell’87 l’esperienza più bella fu con l’inedita esibizione di Sting con l’orchestra di Gil Evans. Un successo che mise d’accordo tutti, giovani e meno giovani. Da allora Umbria Jazz si è aperta a tutte le musiche possibili. Ma non fu un’impresa facile. Passai brutti momenti, ma poi fu una grandissima soddisfazione».
Pagnotta nel corso dei decenni ha incontrato i più grandi, ma il ricordo più singolare è legato a Mingus. «Epici erano i pranzi con lui. Era fissato con il cocomero.
Un giorno si fece portare il carrello degli antipasti e, insieme al cocomero fatto a pezzettini, mescolò acciughe, aringhe, olive e chissà che altro. Un incubo. Me ne andai. Girava con rotoli di dollari legati con l’elastico. Una volta mi aveva invitato a cena in un ristorante cinese e tirò fuori i soldi perché vedessi che poteva pagare ».
Un altro episodio che ancora fa accapponare la pelle al patròn riguarda uno dei più grandi sassofonisti della storia del jazz: «Stan Getz doveva suonare in piazza a Perugia, dopo Sam Rivers. Partirono i fischi e non lo lasciavano suonare. Per calmare gli animi, chiesi a Rivers di venire con me sul palco. Ma lui disse di no, che non lo riguardava. Getz suonò per circa un’ora, tra gli schiamazzi del pubblico. Alla fine aveva quasi le lacrime agli occhi».
Tra le soddisfazioni di Pagnotta brillano due colpi da vero talent scout: «Sono molto contento della scoperta di Brad Mehldau.
E’ diventato una star grazie a noi. Nello stesso anno, in una birreria di Perugia facemmo anche Diana Krall, che era allora una perfetta sconosciuta. Mille dollari per sera. La prima volta in Italia. Una sera portai Tony Bennett a sentirla. Quando lo vide arrivare, lei diventò rossa come un gambero. Poi divenne una star e fecero 40 concerti insieme».
Per i 40 anni torna anche Keith Jarrett, il più difficile dei musicisti. «Senza dubbio va a lui la palma del musicista più esigente, difficile, impossibile. Jarrett se ci sono meno di 19 gradi non suona. E’ scritto sul contratto. Una sera al Frontone, era luglio gli accendemmo i funghi perché secondo lui faceva troppo freddo. Dopo il secondo brano, però, si tolse la giacca. L’avrei ammazzato. Ma stiamo parlando di grandi musicisti e sono quasi tutti morti. Keith è fortunatamente ancora vivo e a un livello ancora grandissimo. Bisogna sopportarlo così».

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