Sparisce un’opera di Banksy. E parte la guerra legale
Sparisce un’opera di Banksy. E parte la guerra legale
PARIGI — Prima dovevano scappare dai poliziotti per non farsi multare, arrestare. Adesso i graffitari assoldano rinomati avvocati per difendere le loro opere, inseguire usurpatori in giro per il mondo. È la storia al contrario, il topo che si trasforma in gatto. L’ultimo contenzioso riguarda Banksy, writer inglese al quale è stato rubato “Slave Labour” dipinto su un palazzo di Haringey, nord di Londra. L’immagine — un bambino costretto a lavorare su una macchina da cucire e coperto di bandiere britanniche — aveva una forte connotazione politica ed era stata creata durante le celebrazioni del Giubileo della Regina Elisabetta. Una mattina gli abitanti del sobborgo, che avevano accolto con favore questa incursione dell’artista, hanno scoperto un buco al posto del muro. Il disegno trafugato ha viaggiato fino a Miami ed è ricomparso nelle vetrine di una prestigiosa galleria d’arte, con prezzo stimato a 375mila euro.
Banksy ha protestato tramite il suo sito — per tradizione non appare mai — ma il titolare della galleria americana ha sostenuto che “Slave Labour” era stato venduto dal legittimo proprietario del muro, quindi anche dell’opera. Non è la prima volta che succede. Altri artisti, come i francesi Jef Aérosol e Christian Guémy, alias C215, sono oggi promotori di cause legali — proprio loro che sfidano ogni giorno le regole — nel tentativo di difendere il sacrosanto diritto d’autore. L’ennesimo paradosso per chi milita in un movimento nato negli anni Sessanta per contestare la proprietà privata. Oggi però la street art è uscita dalla nicchia underground. Jean-Michel Basquiat e Keith Haring sono celebrati dai grandi musei mentre le nuove leve ricevono offerte dalle migliori gallerie del mondo.
Qualche mese fa, Artcurial ha venduto stampe serigrafiche di noti writer per un valore di oltre 1,2 milioni di euro, record storico. Tra le opere comprate c’erano anche quelle di Shepard Farey, autore del famoso ritratto multicolore di Obama, “Hope”. Le quotazioni del mercato hanno messo in crisi l’utopia dell’arte gratuita, disponibile per tutti negli spazi pubblici. E alimentano anche un bizzarro contrabbando di pezzi di muri. Proprio Banksy, il nome più noto del momento, ha chiesto invano la restituzione di un altro suo stencil trafugato a Betlemme, in Cisgiordania. Anche in quel caso l’immagine “Stop & Search”, che rappresentava una bambina palestinese e un militare israeliano, è stata rubata di notte. Il prezioso intonaco, che pesa 1,4 tonnellate ed è valutato 344mila euro, è andato a un’altra galleria americana.
Insomma, gli artisti maledetti sono passati dalle strade di periferia a case d’aste come Sotheby’s e Christie’s, lanciate nel ricco mercato di quella che è stata ribattezzata “arte urbana contemporanea”. Accade persino che qualche giudice riconosca la bellezza di tag e graffiti: è successo a C215, assolto da un giudice di Barcellona dopo aver imbrattato, o meglio decorato un palazzo. Il comune di Parigi ha creato appositi spazi per queste “opere effimere”, in modo che gli autori non siano più processati per “atti vandalici”. I puristi del genere sono ovviamente scandalizzati da tanta norma-lità, come ha raccontato Le Monde in un lungo servizio dedicato all’imborghesimento degli artisti sovversivi. Si è aperto un dibattito tra partigiani del copyright e chi invece vorrebbe restare fedele al copyleft, in nome di una fruizione più democratica delle opere.
Quelli che gridano contro la deriva capitalista, la perdita di un’innocenza ribelle e romantica, dovranno probabilmente rassegnarsi. Ai writer è toccato il destino di tante avanguardie artistiche diventate di massa.
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