E la Shoah approdò a Rodi

Un film sugli ebrei deportati dall’isola annessa all’Italia 

Un film sugli ebrei deportati dall’isola annessa all’Italia 

Tra le vittime italiane della Shoah vanno inclusi anche gli ebrei di Rodi, su cui il Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) ha compiuto una vasta ricerca che esce in questi giorni: i nomi e i dati anagrafici dei deportati compaiono in Rete sul sito www.nomidellashoah.it. E il loro lancinante tragitto dal Dodecaneso ad Auschwitz è rievocato nel film Il viaggio più lungo. Rodi-Auschwitz di Ruggero Gabbai.
La vicenda trae le sue origini dalla guerra italo-turca (1911-1912), con cui il nostro Paese conquistò la «quarta sponda» libica e impose all’Impero ottomano il pagamento di pesantissimi «danni di guerra», che esso non era in grado di onorare. Come pegno di un promesso futuro versamento, l’Italia occupò dodici isole (da cui il nome di Dodecaneso) nel Mar Egeo. Pochi anni dopo, la Grande guerra vide la Turchia di nuovo sconfitta e definitivamente non più in grado di pagare, tanto da dover rinunciare a ogni diritto sul Dodecaneso. Agli abitanti fu riconosciuto il diritto di optare tra cittadinanza turca e italiana. Gli ebrei, che costituivano una piccola, secolare, comunità insediatasi pacificamente dopo la cacciata dalla Spagna alla fine del XV secolo, optarono in maggioranza per la cittadinanza italiana e per l’adozione della nostra lingua.
Nel 1938 venne estesa al Dodecaneso la legislazione antiebraica fascista, compresa la registrazione coattiva degli ebrei nei libri di stato civile. Nel 1939 furono schedate circa 2.000 persone, colpite da leggi di restrizione dei diritti civili e delle libertà individuali. Il «Messaggero di Rodi» iniziò a pubblicare gli stessi articoli antisemiti che comparivano sulla stampa della madrepatria. Gli ebrei locali, come già quelli italiani, furono ridotti a cittadini di seconda classe.
L’11 settembre del 1943 il Dodecaneso fu invaso dai tedeschi. Ma passarono nove mesi prima che l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Rsha), incaricato di gestire la persecuzione nei Paesi occupati, affrontasse la questione degli ebrei locali, nei quali il tempo intercorso aveva indotto un letale senso di falsa sicurezza.
Il 13 luglio 1944 il comando germanico ordinò agli ebrei di non muoversi dalla città di Rodi e dai villaggi circostanti, dove erano sfollati a causa dei bombardamenti navali alleati. Il 18 luglio, prescrisse che ogni ebreo maschio al di sopra dei 16 anni dovesse presentarsi al comando dell’aviazione italiana, nella parte nuova della città, con carta di identità e permesso di lavoro. Dopo aver riunito con l’inganno gli uomini senza lasciarli più uscire, toccò alle donne e ai bambini, che furono invitati a presentarsi entro le 24 ore successive. Il 20 luglio 1944 tutta la comunità si trovava nelle mani dei tedeschi, senza poter uscire dall’improvvisata prigione. Solo una cinquantina di ebrei, di cittadinanza neutrale turca, fu rilasciata dietro richiesta del console di Ankara.
Il 23 luglio l’intera comunità ebraica, tra cui molti bambini e donne gravide, fu evacuata dal comando dell’aviazione e fatta scendere lungo la via principale, resa deserta da un allarme fatto suonare ad arte, verso il porto commerciale, dove sostavano in attesa tre imbarcazioni con le stive aperte, dotate di paglia sporcata da escrementi animali per terra e bidoni di acqua nel mezzo. In quel giorno la presenza centenaria della comunità ebraica nell’Isola di Rodi ebbe fine.
La traversata da Rodi al Pireo fu terribile: nessuno poté uscire da sotto coperta per prendere aria, il caldo nelle stive era soffocante, non c’erano servizi igienici, nessuna possibilità di mantenere la pulizia personale, il malessere prese la maggior parte dei prigionieri. Secondo le testimonianze, una decina di persone morirono nella traversata. Dopo molte ore, le chiatte giunsero all’Isola di Kos, dove una quarta si unì alle prime con gli ebrei ivi arrestati. Il terribile viaggio per mare terminò il 31 luglio 1944. I prigionieri furono portati in camion alla prigione di Haidari ad Atene. I deportati vennero selvaggiamente interrogati e palpati alla ricerca di nascondigli corporei di monete o gioielli. Altri ne morirono durante la permanenza in quella prigione, perché privi di medicinali o perché bastonati a sangue.
Il 3 agosto il gruppo fu caricato su carri ferroviari piombati e spedito al campo di sterminio di Auschwitz, dove arrivò il 16 agosto. Dopo l’immediata selezione, finirono nelle camere a gas più di mille deportati. Della comunità ebraica di Rodi rimarranno vive dopo la guerra 178 persone.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password